Il bacio

Di Andrea Pancini

“Mio Dio aiutami a sopravvivere a quest’amore micidiale” è impresso, tanto in Russo che in Tedesco, sul muro di Berlino. Sopra l’inciso, in preda agl’amorosi sensi, lo schiocco delle labbra di Breznev su quelle di Honecker. Correva l’anno 1979, trentennale della DDR, e quel bacio suggellava l’amore fraterno, umano e socialista fra la Repubblica Democratica Tedesca e l’Unione Sovietica: tragicamente scomparse dieci anni dopo.
Di tanto amore, oggi, rimangono i murales della più estesa galleria d’arte all’aperto: l’East Side Gallery; ciò che resta del muro di Berlino. Il bacio suggella sempre l’idillio all’ombra di un paradigma che, nel caso in questione, era quello socialista ma altri ce ne sono stati. L’arte del novecento trasuda baci, predicati in tragedie: con o senza didascalia.
Il primo, orrendo e stupendo, bacio del novecento è quello di Klimt: un bacio in dissolvenza. Lui annichilito e lei violentata fra geometrie e fiori che sanno d’eternità: la sintesi d’amore non consente individui. A seguire, il Bacio a Time Square; la lanterna verde al di là del molo: il futuro orgiastico che s’attende oltre la guerra. Poi, Le Baiser de L’Hotel De Ville: il bacio che capita in un mondo dove tutto accade. Ed ancora Andreotti con Riina, esposti in tribunale per un bacio mai dato a suggello di uno Stato-Mafia che, di fatto, non c’è né c’è mai Stato. Fino all’ultimo, terribile, fra Salvini e Di Maio; anch’essi convocati in nome di qualcos’altro: ma che cosa?
In nome del peggior venditore di auto usate di tutti i tempi.
Alle presidenziali del 1960, quelle che palmarono Kennedy, l’antagonista campeggiava sui manifesti a mezzo busto: dito puntato e sorriso elusivo. Il cartellone recitava: “comprereste un’auto usata da quest’uomo?”. Da allora, Richard Nixon, non si è più scollato di dosso l’immagine del venditore di auto usate: quello che mente sul kilometraggio del mezzo. Prima, gli amici Repubblicani, lo chiamavano “tricky dicky” (riccardino il furbetto): il primo a superare lo steccato fra sinistra e destra!
Nel 1950, Richard Nixon, si era candidato al Senato per la California presentandosi alle primarie tanto Democratiche che Repubblicane. Nixon, Repubblicano, vinse a mani basse le primarie del suo partito: perdendo per un’incollata la candidatura Democratica. Per un soffio, i Californiani degli anni ’50, furono sollevati dall’imbarazzo d’eleggere al Senato Nixon o Nixon! Poi, per l’America tutta, fu solo Nixon: Presidente dal ’68 al ’74 con ben due mandati. Il secondo, lo sanno tutti, interrotto in modo imbarazzante.
Nixon, scaldali a parte, è passato alla storia come un uomo di “legge ed ordine” (law and order) mentre a Kennedy è toccato il ruolo del radicale anche se, forse, le cose non stanno proprio così. È qui che entra in scena il paradigma Nixon che poi, a ben vedere, è quel che intreccia il folgorante amore fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
L’8 Agosto del 1969, il neo Presidente Nixon, annunciava alla nazione il Family Assistance Plan: la riforma radicale del wellfare. La glassa ideologica, cara alla conservazione, è la solita zuppa di Dio, patria e famiglia mentre il piglio rivoluzionario è quello Copernicano: il Social Security Act, firmato da Franklin Delano Roosevelt nel 1935, si è dimostrato inefficace ed inefficiente. Lo spirito della riforma, invece, calca il solco della battaglia per i diritti civili: quella della dignità sociale dei cittadini.
Per questo il Family Assistance Plan introduce il “reddito minimo garantito” quanto la “flat tax”. La rivoluzione Copernicana di Nixon, a conti fatti, non è una riforma dello Stato assistenziale: è una riforma fiscale! L’idea stessa che lo Stato venga foraggiato dal gettito fiscale in cambio dell’erogazione di servizi assistenziali viene meno e così, il gettito fiscale, assume una funzione più precisa: la ridistribuzione del reddito.
Il Congresso Americano non ne fece nulla ed il Family Assistance Plan passò nel dimenticatoio con la damnatio memoriae del proponente. Tolta qualche timida sperimentazione nel New Jersey e nell’Oregon, che uno Stato si senta in dovere di restituire una fiscalità non dovuta (che questo si cela sotto la propaganda del reddito di cittadinanza) e cosa questo implichi, nessuno lo sa.
Si sa, invece, che il paradigma alla base di questi due provvedimenti, una “flat tax” ed una “negative income tax”, è neoliberista; nel senso che al neoliberismo s’iscriveva l’ispiratore: Milton Friedman. Margaret Thatcher e Ronald Reagan, più d’un decennio dopo Nixon, ebbero modo di riferirsi a piene mani al modello neoliberista: lo stesso che, sembra, ispiri l’Europa unita.
Fatto sta che dopo Nixon, nessuno hai mai pensato, tanto meno realizzato, una riforma così radicale sotto l’ombrello liberista. Magari è esattamente quello che intendeva, ai tempi della discesa in campo, Silvio Berlusconi: la rivoluzione liberale. O forse, meno prosaicamente, è il protocollo sperimentale cui prega di sottoporsi il malato terminale: forse non è neppure quello. Poniamo pure che si tratti del corrispettivo economico del Metodo Stamina: posto che stiamo già male, che Dio c’aiuti a sopravvivere a quest’amore micidiale.

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