Atlantide

Dall’ultima propaggine della Mesopotamia, verso il mare, s’estende l’isola di Atlantide.

Johann Wolfgang von Goethe, a cui è dovuto il mito, la chiamava “la terra dove fioriscono i limoni” e sosteneva che non si poteva capire la Mesopotamia senza la sua isola maggiore: Atlantide. Nel suo Viaggio in Italia (NDR: la Mesopotamia, in tedesco, è detta “Italia”: Atlantide è la “Sicilia”. Non chiedetemi il perché), Goethe ricorda Panormus: “La purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra (…) chi li ha visti una volta non li dimentica per tutta la vita”. La sensibilità di Goethe, poi, registra altre due cose di quel cosmo minuto: l’imperante miseria e l’intenso odore di zagara. La zagara è l’aulentissimo fiore degli agrumi che si diffonde, in maggio, per tutta l’Esperia ed oggi anche in Mesopotamia.

I Greci chiamavano, l’isola di Atlantide, Esperia: occidente. Più a nord dell’Esperia, per i Greci, insisteva l’abbondanza di carne per cui chiamavano la Mesopotamia minor, che in tedesco è la Calabria, Vitalia: dal Greco vitaloi, “vitelli”. Ebbene: Atlantide era già un giardino ai tempi della colonizzazione greca. Il mito è noto e ricorda il paradiso: il Giardino delle Esperidi. Al centro del Giardino, la pianta di pomodori! I pomi-d’oro dei primi Greci avevano il colore del metallo: il giallo del cedro. Poi, nei secoli, fra gli agrumi l’uomo imposero le arance ed i pomi-d’oro presero a riferirsi alle arance rosse. Quando i confini del mondo marciarono ancor più ad occidente, l’Esperia finì per trovarsi in E-spana (Spagna) e da lì direttamente oltre l’Atlantico: dove i molti credono si trovi, ad oggi, la nostra isola. Capite bene che trovarci i “pomodori”, come noi li conosciamo, faceva già parte della narrazione.

Quando si sposta l’orizzonte, il mondo cambia: per capirlo non c’è bisogno della scienza. I lunghi viaggi in mare, verso l’Atlantide scoperta da Colombo, imposero un nuovo male ai naviganti: lo scorbuto. Senza capire bene che lo scorbuto risultava dalla carenza di vitamina C, un medico della Marina Britannica (James Lind) fu il primo ad evidenziare, sperimentalmente, il superamento della malattia attraverso il consumo di agrumi. Nel 1789, la Marina Britannica impose alle navi di caricare nelle stive arance e limoni: la domanda salì alle stelle.

Le prime serre furono inventate proprio per consentire la coltura degli agrumi in latitudini sfavorevoli, il che presupponeva la conservazione delle piante al riparo dagli inverni. Latitudini che non ricadevano sotto il controllo, diretto od indiretto, della Spagna che, degli agrumi, aveva quasi il monopolio. Nel medio oriente e nel nord Africa, a cui l’Inghilterra si poteva riferire per un agevole approvvigionamento, la coltura degli agrumi è disagiata. Il clima è quello giusto, certo, ma la seconda condizione per la coltura estensiva degli agrumi è l’acqua. Limoni, arance, bergamotti, mandarini, cedri, chinotti, lime e pompelmi bevono più dei cammelli! Se non ci credete, pensate al corso del Giordano che alimenta i pompelmi di Jaffa: a dove nasce (NDR: in Libano) e chi ne amministra, oggi, il corso (NDR: con l’occupazione della trans-Giordania, il fiume, oggi è sotto il controllo esclusivo di Israele). Voi fatevi due conti che io procedo.

Atlantide ed il sud della Mesopotamia, al clima favorevole, aggiungono delle cospicue risorse idriche: indispensabili per la coltura degli agrumi. Ciò a dire che, per far funzionare una masseria dedicata agli agrumi ci vogliono capitali, braccianti, terra, ma anche il sole, gli inverni miti e tanta, tanta, acqua! Se convenga coltivare gli agrumi, poi, lo decide il mercato. Così com’è il mercato che seleziona il prodotto con riguardo ai requisiti accessori: nel nostro caso la conservazione. Ora: non avete bisogno di essere laureati in chimica per apprezzare che, oltre all’acido ascorbico, gli agrumi contengono un’alta concentrazione di acido citrico: un conservante naturale, secondo solo al sale. La fortuna degli agrumi, durante il XIX secolo, è tutta qui: acido ascorbico a lunga conservazione. Se lo volessimo riportare in cifre, la rendita di un fondo coltivato ad agrumi, per tutto l’ottocento, è quarantanove (Q-U-A-R-A-N-T-A-N-O-V-E) volte l’investito. Se avete letto l’articolo che precede questo, avrete apprezzato che la rendita fondiaria di un agrumeto è il doppio di quella riferibile alla coltivazione della banana: 25 volte il prezzo del fondo, quella, e 49 volte, questa.

Un gran bel gioco, non c’è che dire: ma ci vuole l’acqua! Il Principe di Salina avrà pure il latifondo e le risorse necessarie ad ingaggiare braccianti e picciotti ma, senza l’acqua per irrigare gli agrumi, il Principe di Salina non dispone di nulla. Pensateci. La stessa politeia, le stesse istituzioni cittadine, hanno preso le mosse dalla regimentazione di fiumi, quali il Nilo, il Gange, l’Indo od il Tigri e l’Eufrate. L’impero Romano, subito dopo i ponti (da cui il Latino Pontifex), costruiva acquedotti a gravità: per portare la civiltà dove non scorrevano i fiumi. Il sistema di produzione capitalistico ha realizzato il primo acquedotto a pressione, là dove fosse garantito il ritorno economico dell’investimento (NDR: a Londra nel 1854). Le prime norme di salvaguardia dell’interesse pubblico hanno riguardato il regime dell’acqua ed oggi, addirittura, si “vocifera” di un diritto universale d’accesso dell’uomo all’acqua potabile. Si “vocifera” significa che si scrive (NDR: nella Risoluzione delle Nazioni Unite 64/92 del 28 luglio 2010) ma poi non si fa: attestando, comunque, una qualche forma di sviluppo civile. Come questo si coniughi con la privatizzazione del servizio idrico non è troppo comprensibile ma, evidentemente, ci dev’esser pure una qualche ragione politica.

Ecco, cosa fare dell’acqua è una scelta politica: in Mesopotamia, ad Atlantide come altrove. Ciò a dire che portare l’acqua a Montegrano, o dissiparla negli agrumeti, è una scelta arbitraria: al pari di comprare un F-35 in luogo di costruire un ospedale. Di solito, quando ci si riferisce all’atavico sottosviluppo della Mesopotamia, il punto di riferimento è Banfield e la sua ricerca antropologica in Basilicata: da cui tirò fuori il paradigma del “familismo amorale”. Banfield ha le sue ragioni, non intendo discuterne, ma quando ti passa davanti un treno che paga quarantanove volte la posta, è difficile credere che la questione si attesti sui binari etico-sociologici. Quando un bene (quale l’acqua) diventa lucrativo, è fondamentale dirottarlo dall’interesse pubblico. E tanto vale per il percorso inverso: quando un bene cessa di godere dell’interesse pubblico (come le autostrade, i porti, il sistema idrico, la rete elettrica, quella telematica, ect.) diventa lucrativo. In soldoni, qualunque siano i vantaggi conseguibili nello sfruttamento di una risorsa, il sistema che massimizza il profitto è farne “cosa nostra”, piuttosto che qualcosa di pubblico interesse: in Atlantide come altrove.

Non capite, vero?

Lasciatevi aiutare da un esempio di fresco conio. Il “pomodoro” di oggi sono le terre rare; fra queste c’è il Litio, che alimenta le batterie della “transizione ecologica”. Il secondo giacimento, in ordine di grandezza, di Litio nel mondo è stato scoperto in Germania: il primo rimane Bayan Obo, in Cina. Con il Litio del giacimento fra l’Assia e la Renania, si potrebbero alimentare 400 milioni di macchinine elettriche: eppure nessuno ha mai richiesto la concessione mineraria; nemmeno per dare la soddisfazione alla pubblica amministrazione di rifiutarla! Lo sfruttamento del giacimento che insiste sotto Francoforte, codici alla mano, non sarebbe profittevole. Sposta Francoforte, indennizza i proprietari, estrai il litico riguardandoti delle emissioni nocive, accollati il ripristino ambientale, paga la forza lavoro quanto devi e lo vedrebbe un cieco: la cosa si risolverebbe in un fiasco economico. E dire che le terre rare sono le mele d’oro dei nostri tempi!

La “cosa nostra”, ad Atlantide, nasce dall’appropriazione indebita dell’acqua. La prima guerra di mafia, documentata dai tribunali e più volte ricordata dalla letteratura dedicata (Cutrera 1900; Santino 1994; Crisantino 2000), si svolge a Monreale, alla fine del 1874, e coinvolge due organizzazioni rivali: i Giardinieri e gli Stoppaglieri. Due anni dopo, Sidney Sonnino, partì per Atlantide: allo scopo di studiare la situazione dell’agricoltura, nel timore che un mancato miglioramento della condizione delle masse rurali avrebbe portato allo scontro di classe. Sonnino ci offre l’identikit della mafia, composta da “facinorosi della classe media”. La “piccola borghesia”, perché questo indica l’espressione usata da Sonnino, della borghesia ha le aspirazioni (il business), l’indole (anarchica, cioè avversa all’ordine) ma non i mezzi: né terra né capitali. Per questo si istituisce a società di servizi: un facilitatore degli interessi di classe. La classe di riferimento, naturalmente, non è quella che vive del proprio lavoro. Per questo Sonnino aveva fatto la sua ricerca in Atlantide: temeva che le condizioni disagiate delle masse rurali nel mezzogiorno, avrebbero innescato la lotta di classe che il settentrione iniziava a temere. Libertà, di Giovanni Verga, rende bene l’idea del rischio d’una insurrezione di massa che, comunque la pensiate, non è certo un bel vedere. Per questo, la classe dirigente settentrionale del Regno d’Italia, ha preferito che la questione venisse contenuta da “cosa nostra” nel sud della Mesopotamia.

Dal contenimento al regresso, il passo è breve: in questo senso, Banfield, ha gioco facile nel fotografare il sottosviluppo di Chiaromonte alle soglie degli anni ‘60. Alle spalle del sottosviluppo c’è sempre un conflitto mancato: una sclerosi delle dinamiche politiche che, rischiando la comune distruzione delle classi in lotta, finiscono per trovare nuovi equilibri: spesso più alti di qualunque cosa li abbia preceduti. Il familismo amorale, che Banfield scopre a Chiaromonte nel 1958, è lo stesso dei Vitelloni che Fellini evoca 5 anni prima: ma non è la causa del degrado in cui versa la piccola borghesia di Rimini, semmai è la febbre. La soluzione proposta da Fellini, per altro, è la stessa deLe Basi Morali di una Società Arretrata: la fuga da una immensa provincia in cui non c’è niente da fare.

Con ciò a dire che l’associazionismo a delinquere non è un fenomeno riferibile, solo ed esclusivamente, ad Atlantide od alla Mesopotamia: c’è, o c’è stato, in Inghilterra, in Francia ed un po’ ovunque. Il peccato originale della Mesopotamia, nel suo complesso, è consentire che in Atlantide, prima, in tutto il meridione, dopo, ed adesso nell’intero paese, l’associazionismo a delinquere costituisca un cardine del potere statuale. In altri termini, l’idea che la “cosa nostra” sia un fenomeno, emerso ad Atlantide e di questa peculiare, ma comunque ascrivibile alla più ampia fattispecie dell’iniziativa privata! Rappresentato in parlamento come potrebbe Confindustria, capace di esercitare una qualche pressione economica, tutore della pace ed acido citrico della conservazione sociale!

Ricorda Nicola Gratteri, saggista ed “ex” (NDR: non ancora ma fra poco) procuratore in Mesopotamia, che “il primo scioglimento di un consiglio comunale per mafia è avvenuto a Reggio Calabria nel 1869”. I fatti riguardano le elezioni dello stesso anno, il 1869, a cui segue la richiesta, debitamente registrata nell’archivio di stato di Reggio, del prefetto locale al governo centrale. La richiesta contemplava l’annullamento del risultato elettorale e lo scioglimento del consiglio. I fatti, riportati su carta bollata, sono questi. Nel 1869, a contendersi il comune, si fronteggiano il Movimento Clericale Borbonico, guidato da un medico (Annunziato Paviglianiti) favorito dalla diocesi e la Destra Storica, spalleggiata dai circoli massonico-liberali e dalla nobiltà fondiaria. In predicato, per la futura amministrazione, c’è l’approvazione del piano regolatore. Il movimento Clericale Borbonico, secondo il resoconto prefettizio, è in maggioranza. Annusata la malparata, gli esponenti della Destra Storica assoldano un gruppo di persone note alla prefettura: la Setta degli Accoltellatori. Il 19 agosto del 1869, il medico Paviglianiti viene sfregiato al volto, seguono comprovate minacce ai grandi elettori locali e, così, la Destra Storica finisce per prevalere alle urne.

Nel resoconto, ovviamente, compaiono i nomi: ma non importa. Mi preme solo ricordare che, nel 1869, gli Stati Uniti erano appena usciti dalla guerra civile, i cittadini della Mesopotamia non si affollavano sui transatlantici e nessuno aveva mai pensato di istituire la C.I.A.. Il business del momento, tanto ad Atlantide quanto in tutto il sud della Mesopotamia, erano i limoni e non la cocaina. Giacomo Matteotti, nel 1869, non era ancora nato. Ciò non di meno, quello che costò la vita al deputato socialista nel 1924 e che costituisce la precisa responsabilità politica del fascismo (a detta di Benito Mussolini), era già in essere: a Reggio Calabria, 55 anni prima!

Quando i “liberatori” sbarcarono ad Atlantide, 83 anni dopo Garibaldi, non fecero che adeguarsi alla situazione politica in essere: condizionata dalla rendita (finanziaria o del latifondo, poco importa), seminata di consorterie ed appoggiata ad un apparato burocratico che aveva pescato a mani basse nella piccola borghesia dei clientes. Ecco. In questi termini, i “facinorosi” della Mesopotamia non sono mai stati propriamente fascisti: neppure oggi, che hanno ripreso a considerarsi tali, non sanno esattamente cosa vanno dicendo. Cosa accomuna i “facinorosi della classe media”, sprovvisti di un qualsivoglia talento spendibile nella scalata sociale (ed ammesso che questa sia possibile, in Mesopotamia), è l’inclinazione a considerare il pubblico interesse come una questione privata: come “cosa nostra” piuttosto che “qualcosa di pubblico”.

In poche parole, se è l’acqua che alimenta il mulino, allora questa dev’essere dirottata! L’esempio non è casuale. L’energia per dirottare il corso delle cose, è stata prestata dai “facinorosi” ma la “convenienza” l’ha determinata il mercato: unitamente alla responsabilità politica della classe dirigente in Mesopotamia. Con l’equa distribuzione dei ricavi della coltivazione ad agrumi, si poteva sostenere agevolmente lo sviluppo di Atlantide ma si è preferito divaricare la disuguaglianza sociale e ricorrere alla violenza per mantenere il privilegio. Lo stesso comportamento tenuto dalla United Fruit Company in Guatemala.

Ma dietro l’allegoria dell’acqua e del mulino, c’è di più. Suggerisce Nicola Gratteri, il saggista, che l’organizzazione criminale sia un instrumentum regni: per lo meno in Mesopotamia. Uno strumento per governare le acque, sembrerebbe di capire, che provvede ad indirizzare il corso del fiume là dove c’è “convenienza”: verso il mulino. Ecco, di solito questa cosa è indicibile: …

forse non è neppure vera.

Andrea Pancini
Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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