Caos e panico a Torino. Noi c’eravamo: i racconti dei casentinesi

Erano lì. In quel drammatico 3 giugno in piazza San Carlo. Erano lì, quando, in poco più di venti minuti, una delle più conosciute aree del centro di Torino, viene travolta da un’ondata di inspiegabile caos. Un evento indeterminato che, in pochi istanti, genera panico assoluto, urla e feriti che fuoriescono dalla piazza e si riversano nelle vie circostanti. L’eccitazione per l’attesa di una partita di calcio, lascia presto il posto al disordine più raccapricciante. Tra quelle 30.000 persone accorse a Torino per godersi la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, si trovavano anche alcuni ragazzi del Casentino. Abbiamo raccolto due testimonianze. Ci racconta la prima esperienza Andrea Conti, nato a Bibbiena il 7 luglio 1992:

«Sono partito con un amico, Fabrizio di Pratovecchio, un anno più grande di me. Siamo andati a Torino per incontrarci con Gianluca, anch’egli di Pratovecchio, trasferitosi nel capoluogo piemontese per studio. Il mio obiettivo non era principalmente la partita. Sono amante del calcio, ma non tifo nessuna squadra in particolare. Con l’occasione, però, abbiamo deciso di seguire l’evento in piazza. Quando siamo entrati, ho avuto subito l’impressione della portata dell’avvenimento; mi ricordava uno dei tanti concerti che seguo per passione: tanta gente, transenne, controlli e accalcamento».

Come era la situazione, appena entrati in piazza San Carlo?

Siamo entrati, la prima volta, intorno alle 15.30. L’intera area era transennata; la polizia controllava gli zaini e nelle stradine intorno si aggiravano diversi venditori ambulanti che sembrava volessero entrare. La situazione era ancora molto calma, non c’erano neanche troppe persone, pertanto abbiamo deciso di ritornare circa un paio d’ore più tardi. Siamo entrati senza troppi problemi, i controlli non sembravano così rigorosi come nelle ore precedenti; erano entrati anche alcuni venditori ambulanti. Una volta che ci siamo stabiliti in mezzo alla folla (verso la metà della piazza) abbiamo notato che il maxischermo era posizionato male. Non offriva un’ottima visuale, condensando la calca di gente tutta nella parte dove era installato. Questa situazione ci ha portato ad allontanarci dalla piazza quando eravamo ancora in tempo. Abbiamo semplicemente deciso di spostarci in una via poco distante per seguire la finale in un locale.

Questo vi ha permesso di vivere indirettamente l’evento caotico che ne è seguito di lì a breve?

In realtà no. Siamo stati travolti dal caos soltanto con qualche minuto di ritardo rispetto a quanto è successo in piazza. Mentre guardavamo ancora la partita, tra i tavoli fuori del pub, si sono uditi rumori e urla sempre più forti, ma non immaginavamo cosa fossero. Poco dopo, nella via in cui eravamo, ha iniziato a riversarsi una fiumana impazzita di gente. Troppo breve il tempo per accorgersi di cosa stesse succedendo. Tavoli e sedie divelte, in un attimo ero a terra, travolto dai passanti. Dalla via uscivano persone insanguinate che urlavano. Ero schiacciato tra le sedie del locale, quasi incastrato. Appena preso coscienza, nel lasso di qualche istante, mi sono rialzato, non capivo assolutamente nulla. Iniziai a corre nella direzione in cui fuggivano tutti. Sembra quasi di essere trasportati da qualcosa di più grande, di cui non hai controllo. Corri e basta! In quel momento avevo in testa solo un pensiero tremendo. Un attentato. Era quello che sembrava essere successo, era quello che gridavano tutti. Poi, intorno a me, c’erano persone sconvolte, ferite in ogni parte. Correvo con il terrore che qualcuno mi sparasse alle spalle. Un’esperienza che ti gela il sangue.

Fortunatamente ho riportato solo un insignificante graffio al gomito, ma ciò che mi ha sconvolto maggiormente è stata la paura inconscia che ha preso il sopravvento su di me e mi ha trascinato via ancor più violentemente della folla che mi ha investito.

Momenti scioccanti! Ricordiamo che erano circa le 22.20 e la partita era ancora in corso. Non avete avuto mai una percezione chiara di quello che era successo, ma sembrava che, il tutto, facesse pensare a un attentato. Una quaranta di minuti dopo si sarebbe appreso, invece, dell’azione terroristica a Londra. Quali voci circolavano intorno a voi?

Il sentore che ci ha accompagnati in questa mezz’ora di angoscia e smarrimento era che fosse in corso un attentato. La polizia che incontravamo, mentre correvamo in preda al panico, ci diceva di allontanarci verso la riva del fiume Po. Questo non ci tranquillizzava di certo; poi le persone continuavano a scappare e urlare. Si correva ancora e ancora, come se un possibile male ci potesse colpire in qualsiasi momento. Cercavamo notizie su internet, ma era ancora troppo presto. Proprio dal web però, abbiamo appreso, tempo dopo, quello che era avvenuto a Londra. Il fatto aggravava la situazione e la nostra sensazione di disagio.

I tuoi amici che fine hanno fatto?

Anche questo mi ha colpito. Ero così sconvolto e annebbiato che ho smarrito completamente la ragione. Non sapevo dove fossero o come stessero, sentivo solo l’agitazione delle persone intorno a me. Mi sono riconciliato con qualcuno che conoscevo mentre si fuggiva e la gente ci incitava a correre di nuovo. In un attimo di calma abbiamo trovato il modo di contattarci e vederci. Per fortuna, stavamo tutti bene.

Aldilà della paura e della rabbia, c’è uno spunto di riflessione che ti senti di fare, dopo aver vissuto un’esperienza di questo genere?

Non me la sento di esprimere un giudizio sul modo in cui è stato gestito l’evento. Credo che si potesse fare meglio sicuramente: si potevano regolare gli accessi di coloro che entravano per vendere bottiglie di vetro, quando è vietato; si poteva inserire uno schermo più grande e posizionato meglio in modo da evitare una maggiore calca in determinati punti della piazza. Ci sarebbero tante cose, ma non sono in grado di dire se è stato gestito bene o male. L’unica cosa che so è che, certi momenti di panico, non si riescono a controllare. Sono imprevedibili e, per chi li vive, lasciano un velo di turbamento che mi fa riflettere su come si agisca di fronte a qualcosa di oscuro, di incomprensibile, che ti travolge facendoti comportare come non immagineresti mai. Ho seguito molti eventi finora, nella mia vita, perché mi divertono, mi appassionano. E di certo continuerò a farlo! Questa esperienza mi ha comunque fatto riflettere su cosa sia “un uomo” e il suo incontrollabile istinto di sopravvivenza.

Alla testimonianza di Andrea, aggiungiamo quella di un altro ragazzo che era a Torino quella famosa sera. Anche lui si chiama Andrea, è di Salutio (frazione di Castel Focognano), 35 anni, di professione barista. Ecco cosa ci scrive:

«È la seconda volta in tre anni che mi reco a Torino per assistere alla finale di Champions League della Juventus. Ero in piazza San Carlo anche per la finale persa con il Barcellona due anni fa. La piazza era gremita, forse non adatta ad ospitare così tanta gente; lo stadio era sicuramente più idoneo. Rispetto al 2015, non c’era il divieto di vendita di bottiglie di vetro, io personalmente sono entrato in piazza con il mio zainetto in cui, dentro, vi erano alcune bottiglie di birra. I controlli era molto blandi, nello zaino avrei potuto avere qualsiasi cosa. La notizia degli attentati di Londra mi è arrivata solo a tarda notte, al momento di rientrare in hotel; in piazza non era trapelato nulla. Al termine del primo tempo sono rientrato in albergo per andare in bagno, dopo pochi minuti il Real ha segnato la seconda rete. È stato allora che ho deciso di guardare il resto della partita in camera; paradossalmente devo ringraziare Casemiro se non ero in piazza allo scoppio della confusione. Soltanto alla fine della partita guardando “Rai News” mi sono accorto di quanto successo, sono sceso in piazza e mi sono trovato davanti all’apocalisse; il pavimento era rosso di sangue e tantissime persone erano ferite. Immagini che poi abbiamo visto tutti in tv. Per un evento del genere l’ordine e i sistemi di sicurezza potevano essere gestiti diversamente» (Andrea Niccolini).

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