La “vera” storia di San Torello (Rikipedia – Curiostoria del Casentino)

16 marzo – San Torello

Oggi è il giorno dedicato al beato Torello da Poppi, che corrisponde, come di consueto, al “dies natalis”, il giorno della sua morte e della sua rinascita alla vita vera, avvenuta il 16 marzo 1282, anche se la festa dedicata a quello che per i poppesi è “san Torello” si celebra poi la seconda domenica dopo Pasqua, perché il 16 marzo cade sempre in piena Quaresima; per questo voglio dedicargli il mio intervento, ma vorrei farlo più col cuore che con la mente: voglio raccontare la sua storia non come la si ricava dalle fonti storiche e dalle più antiche e genuine cronache della sua vita, morte e miracoli, bensì come me la ricordo fin da quando ho memoria, come mi è stata raccontata “da piccino”, come l’ho sempre saputa o come mi è sempre sembrato di saperla.
Nei primi decenni del Dugento, Torello Torelli dirigeva una banda di ragazzacci benestanti che scorrazzava per Poppi tutto il giorno, dedicandosi con impegno ad ogni sorta di peccaminoso divertimento, come qualche tempo prima faceva per Assisi un tal Francesco. Ancora come quest’ultimo, Torello un giorno prese però coscienza della dissolutezza della propria vita vuota e scelse la più santa e la più stretta delle vie per uscire dal vortice di peccato e riempire d’un senso profondo il vuoto che percepiva. La coscienza gli si presentò come un lampo folgorante mediante un fatto miracoloso: stava forse ripensando a qualche ammaestramento religioso ricevuto nell’infanzia, in casa o in chiesa, a proposito del rinnegamento di Gesù da parte dell’apostolo Pietro, mentre si soffermò a guardare un galletto spennato che penzolava a una finestra legato per i piedi, insieme ad altri cibi destinati ad imbandire qualche ricca mensa signorile in quel giorno di festa, quando all’improvviso il galletto si scosse e si svegliò dalla morte e, nudo di penne com’era, gli volò su una spalla, per poi emettere tre sonori “chicchirichì”. Turbato dal prodigio e pentito delle proprie colpe, donò tutti i suoi averi ai poveri e, in obbedienza alla chiamata divina per bocca del galletto, a quella sveglia che lo destò dal sonno del peccato, uscì da Porta a Porrena, lasciandosi alle spalle le mura di Poppi con dentro i suoi cari e i ricordi del suo passato, e si diresse, senza voltarsi, verso i boschi delle propaggini del Pratomagno, in cerca di un posto in cui vivere in solitudine e in povertà, espiando i suoi peccati e vivendo alla lettera il messaggio evangelico. La sua ricerca si concluse ad Avellaneto, dove, in un primo momento, trovò rifugio in una piccola grotta, per poi costruirsi una modestissima abitazione in cui visse l’eremitaggio per sessant’anni.
Alcuni abitanti di Poppi e soprattutto alcuni monaci vallombrosani di San Fedele, che volevano che entrasse nella loro congregazione e si stabilisse nel loro monastero in paese, passavano di tanto in tanto a fargli visita, portando in dono panieri di viveri, che Torello spesso distribuiva a qualche viandante o agli animali del bosco, preferendo digiunare e mortificare il proprio corpo per curarsi l’anima, così come alla compagnia degli uomini preferiva la solitudine che aveva scelto per pregare e meditare, nel silenzio rumoroso della foresta. Il suo isolamento non gli impediva però di aiutare il prossimo, anche con atti miracolosi, tra i quali il principale gli ha conferito il ruolo di santo protettore dei fanciulli e delle donne in attesa di parto; il miracolo ha per protagonisti una donna, che si era recata a lavare i panni in un torrente non lontano dal romitorio ed aveva appoggiato a terra il figlioletto che aveva portato con sé, e un grande lupo nero, che prese il bambino per le fasce e lo stava trascinando via quando Torello lo vide e gli parlò, convincendolo a riportare indietro la piccola preda. Il bambino fu salvo e la madre si accorse del pericolo solo quando questo era ormai scampato e il figlio giaceva beatamente addormentato sul mucchio dei panni, mentre il lupo gli leccava una gota in segno di saluto. Congedatosi così dal bambino e dalla madre che era corsa a stringerselo al petto, il lupo cercò Torello e, trovatolo, gli rimase accanto per tutta la vita, unico compagno stabile e fedele nella sua solitudine; e gli è ancora accanto in quasi tutte le immagini che raffigurano il santo, di nuovo in parallelo con quel Francesco, altrettanto caro ai casentinesi, che durante gli anni giovanili di Torello, proprio in Casentino si trovava, sui monti dalla parte opposta della valle. Da quell’episodio ebbe origine anche una speciale benedizione del santo eremita per i suoi compaesani: nessun poppese da allora in poi avrebbe dovuto subire danni o insidie da parte di lupi e pare che così sia stato.
Addormentatosi poi in grazia di Dio tra le braccia di terra del luogo che poi da lui prese il nome, in quel 16 marzo del 1282, non mancò di fare miracoli anche dopo morto: prima di tutte quelle grazie che, da lui o per mezzo di lui, numerosi cristiani, di Poppi e non solo, hanno ricevuto nei secoli trascorsi da allora, il prodigio che operò subito dopo la sua morte riguarda la collocazione delle sue spoglie. Conquistatosi Torello fama di santità già in vita, dopo morto, i sacerdoti delle varie chiese di Poppi si contesero il suo corpo, ma nella contesa ebbe la meglio l’abate del monastero di San Fedele, nella cui chiesa Torello partecipava da lontano alla messa ogni domenica, attraverso una finestrella affrescata (con una rara veduta di Poppi) aperta a questo scopo nella facciata: il santo volle così ripagare i Vallombrosani che lo avevano ‘corteggiato’ per tutta la vita, scegliendo l’edificio ecclesiastico della Badia come sua tomba e riconsacrandolo con la sua presenza fisica. Fu deciso infatti, durante la disputa, che l’onore di ospitare nella propria chiesa il santo corpo sarebbe spettato a chi fosse stato in grado di sollevarlo e collocarlo nella bara: falliti i tentativi degli altri giovani e robusti sacerdoti, per evidente intervento miracoloso che mostrava la volontà divina e di san Torello, fu proprio l’anziano abate a riuscire nell’impresa e a portare quindi le spoglie dal santo patrono di Poppi in San Fedele, dove ancora riposano, custodite come veneratissima reliquia, ormai da qualche secolo dopo varie traslazioni interne, nella cripta che sta sotto l’altar maggiore.

Riccardo Bargiacchi
Riccardo Bargiacchi
Riccardo Bargiacchi, nato in Casentino nel 1978, vive a Poppi con moglie e figlio; laureatosi con lode a Firenze in Archeologia Medievale, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, discutendo una tesi sui castelli dei conti Guidi in Casentino, ha iniziato la propria attività lavorativa con le pluriennali indagini archeologiche condotte nel sito del Lago degli Idoli (Stia, AR), come componente dell’équipe della cooperativa archeologica Co.IDRA di Firenze (2003-2007). Mantenendo un rapporto di collaborazione con la Cattedra di Archeologia Medievale dell’Università di Firenze per progetti nazionali e internazionali, è socio dello spin-off accademico Laboratori Archeologici San Gallo. Attualmente per conto della cooperativa Oros, lavora presso il Museo Archeologico del Casentino di Bibbiena fin dalla sua inaugurazione ed ha collaborazioni in atto con l’Ecomuseo del Casentino ed altre realtà della valle per quanto riguarda attività storico-archeologiche e didattiche. Accanto a numerose pubblicazioni scientifiche legate alla sua attività professionale, anche in sedi prestigiose come la rivista ufficiale della materia “Archeologia Medievale” (I conti Guidi e l’incastellamento del Casentino: il caso di Poppi, A.M. n° XXXV-2008, Firenze, All’Insegna del Giglio, 2009, pp. 315-332), e comprese due monografie intitolate “Chiese e Santuari del Casentino” (2011) e “Castelli e Feudatari del Casentino” (2014), frutto del Progetto di conoscenza e valorizzazione del Fondo Goretti Miniati (a sua cura per conto della Biblioteca di Poppi e dell’Ecomuseo del Casentino), dal punto di vista letterario, oltre a sporadiche apparizioni su riviste o antologie di premi letterari, è autore di una raccolta di poesie (Tanatofilia. Poesie d’amore, Firenze, MEF - L’Autore Libri Firenze, 2010) e di un romanzo: Falterona, Stia, AGC Edizioni, 2016 (collana “CasentinoPiù” n° 01). È storico collaboratore della rivista CasentinoPiù: da luglio 2010 tiene la rubrica “Casentino medievale: storia e archeologia”.

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