Sangue e carne

Naso adunco, avvolto di gabardine, atto primo, scena terza, si presenta Shylock.

Può sembrare insolito che a Vienna, nel Maggio del ’43, si metta in scena Shakespeare. Per mettere ordine all’insolito, basta ricordare che Il Mercante di Venezia era la “commedia” preferita da Adolf Hitler; non già per i protagonisti ma per l’antagonista: Shylock, Ebreo ed usuraio. Guarda caso, Il Mercante di Venezia è tra le mie “tragedie” preferite: in forza dello stesso, identico, personaggio.
William Shakespeare trova Shylock a Firenze, sul finire del XIV secolo, che è solo un “ebreo”: un usuraio per antonomasia. Nell’economia della novella di Giannetto, inscritta nel Pecorone di San Giovanni Fiorentino, tanto basta per reggere l’equivalenza che ammorba la novella, quanto l’opera Shakespeariana: tremila Ducati per una libbra di carne umana. Se preferite, trenta denari per il corpo di Cristo.
Shylock è un villano (villain), un “cattivo” connotato dall’avidità, che agisce per il peggio ma non per avidità; a Venezia, seguendo il gioco di Shakespeare, nessuno è avido: neppure Shylock! Shylock chiede giustizia, dal primo atto fino all’epilogo in tribunale: inutile precisare che non ne avrà. L’assunto attraverso il quale Shylock chiede giustizia è tutto raccolto nel celebre monologo dell’atto terzo: “Non ha occhi un giudeo? (…) non è soggetto agli stessi malanni, curato con le stesse medicine, estate e inverno non son caldi e freddi per un giudeo come per un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Non moriamo se voi ci avvelenate? Se siamo uguali a voi per tutto il resto, vogliamo assomigliarvi pure in questo! Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua virtù di tolleranza? L’immediata vendetta!”.
Il discorso è vecchio e pagano, apprezzato dalla notte dei tempi: “homo sum, nihil humani alieno a me puto” (sono un uomo, niente d’umano mi reputo estraneo). L’”humanitas” di Shakespeare è quella di Terenzio che sarà di Karl Marx: uno spazio fisico retto dalla necessità. L’esatto contrario del sincretismo Umanista che, raccogliendo entro il libero arbitrio le tre confessioni Abramitiche, finisce per disegnare un’umanità divina: sempre libera e mai bisognosa. Il bersaglio ovvio di Shakespeare, come al solito, s’aggira per Firenze: l’Oratio de Hominis Dignitate di Pico della Mirandola. Un’umanità “divinizzata”, quella di Pico della Mirandola e della Venezia fiabesca di Shakespeare, che non si vergogna di niente perché sprovvista del corpo: proprio quello che sostiene il monologo di Shylock.
Per cotanta altezza, Shakespeare, non poteva chiedere bardo migliore. Il Giudeo (tale per via del figlio di Giacobbe e non in nome di Giuda Escariota), almeno dal Concilio Lateranense del 1215, è tanto alieno quanto coatto; estromesso dall’esercizio di qualunque professione (“pubblico uffizio”) ed isolato dalle vesti (“I Giudei devono distinguersi dai cristiani per il modo di vestire”): da lì a finire in un ghetto, come ai tempi di Shakespeare, il passo è breve. La tolleranza riservata ai Giudei, dal 1215 in poi, è limitata all’usura: male necessario per la Cristianità mercantile ed unica fonte di reddito, legittima, per l’Ebreo. Shylock, che si dispera per l’esito del giudizio, lo ricorda agli spettatori (“mi togliete la vita, se mi togliete i mezzi su cui vivo”): ciò a dire che Shakespeare lo sapeva bene! Con la confisca dei beni e la conversione forzata, la misericordia riservata a Shylock è la morte civile. La distanza fra la morte civile e l’eliminazione fisica è misurata dalle parole di Goebbels: “gli ebrei erano stati avvertiti” (CFR: Goebbels; Diario 1943 – Thule Italia Editrice (sic!)).
Nel Mercante di Venezia, tolleranza e misericordia si rivelano per ciò che sono: moniti ed esercizi di pazienza, sulla clessidra della vis militaris. È la logica del peccato, entro la quale Shylock può aspirare alla grazia ma non al riconoscimento: ché il riconoscimento, come puntualmente avviene, presuppone la colpa. Ecco allora che Shylock si rischiara come l’ennesimo “fool” Shakespeariano: ma alle prese con quale verità indicibile?
Con qualcosa di dimenticato nel tempo, mai cos’importante: Shylock, illuso sul valore della libertà individuale, finisce nella schiavitù sociale. Rimettendosi al giudizio dei Veneziani, Shylock, presunto campione dell’ebraismo nella messa in scena di Shakespeare, rimane solo: tanto in giudizio come a casa. Solo e pertanto sconfitto dall’intreccio che lega le “maschere” al loro campione Antonio: il mercante di Venezia. Cosa dire dei Veneziani, allora? Che a Venezia, rilevava Goethe nei suoi appunti di viaggio (NDR: 4 Ottobre 1786), tutti recitano dalla mattina alla sera: Goethe non dice ipocriti ma lo pensa. Shylock, povero Cristo, è quel che è: …
sangue e carne.

Andrea Pancini
Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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