Voci dal Casentino: Il cigno nero, Barbara e le sue geniali creazioni

Mi trovo a raccontare di una donna un po’ più piccola di me, una donna che ho guardato crescere, dal momento che condividevamo lo stesso quartiere, anzi, lo stesso palazzo, che all’epoca era gremito di ragazzini che lo rendevano ancor più colorato di quello che era.

Quelli che ci hanno guardato poco più che bambine, erano tempi semplici, fatti di poco, ma talvolta la semplicità aiuta a formarti, a renderti tenace e grintosa, proprio quello che è Barbara Altadonna oggi, una donna tenace e grintosa.

Racconto di lei perché in questi giorni di Covid, l’ho ammirata molto incontrandola sui social, la ammiro per il da fare che si è data, semplicemente per restare a galla, e per non tirare giù il bandone del suo negozio: “Il Cigno nero”, a Bibbiena stazione, proprio lungo la Nazionale.

In questo periodo risulta molto dura restare a galla, ma nonostante tutto, tu non ti sei arresa inventandoti il lavoro, ti ho davvero ammirata per questo. Dove trovi l’energia che serve per tenere la testa alta?

-Ritengo essere dura davvero restare a galla e non sono state poche le volte che ho pensato di chiudere, ma ogni volta è successo qualcosa che mi ha dato nuovi input per poter andare avanti. Nel mio carattere è insita una buona dose d’orgoglio perché avendo passato dei momenti davvero bui nella vita, ho voglia di affermarmi a livello lavorativo. Da ragazzina non sono mai stata spronata a fare dalla mia famiglia, anzi, direi piuttosto frenata, anche se i miei lo facevano a fin di bene, naturalmente.

All’interno del tuo negozio, dove lavori e crei ci sono articoli in vendita, da questo deduco che il tuo sia un negozio – laboratorio?

-Io lavoro da sempre e ho fatto davvero tanti lavori: sono stata in fabbrica, ho fatto la commessa, la barista e chi più ne ha più ne metta, ma tutto devo dire, mi è servito a metter da parte tanta esperienza. Mi sono sempre adattata e la gente, fortunatamente, ha sempre avuto fiducia in me. Nulla è stato facile e qualche piccolo fallimento c’è stato, ma, tutto sommato, mi è servito anche quello.

Quando ho aperto il negozio di intimo e pigiami, mia figlia ballava per una scuola di ballo casentinese. Facevano i saggi a Natale e a fine anno di prove, e io ho cominciato a cucire i costumi per i bambini, e da questo è nata l’idea di aprire in concomitanza con il negozio, la sartoria. Sostanzialmente, oltre a vendere articoli intimi, realizzo lavori di sartoria e riparazioni, in questo modo riesco ad ottimizzare i tempi cosiddetti morti, tanto più che oggi non si potrebbe vivere di sola vendita.

Perché “Il cigno nero”?

-Volevo donare a mia figlia Irene il nome del negozio, che avevo tratto da un saggio di danza che lei appunto aveva fatto con la sua scuola di ballo, si trattava de: “La morte del cigno”. Poi, non nego che sotto sotto mi sento un po’ il brutto anatroccolo e quindi…

Poi, quando ha chiuso la fabbrica dove lavorava mio marito, avevo aperto da poco il mio negozio e col mutuo in corso e l’attività appena aperta, mi sono sentita traballare non poco.

Ma questa pandemia oltre al male, paradossalmente ha portato anche un pochino di lavoro, almeno per persone come me che pensano tanto e non si arrendono mai, e direi che molta della forza che ho, me l’ha trasmessa una mia caporeparto di un tempo, lei me l’ha proprio insegnata, saputa infilar dentro, non lo dimenticherò mai.

Ho avuto l’intuito di crear mascherine, le prime duecento che ho fatto le ho regalate, poi alcune ditte importanti me le hanno commissionate e questo ha contribuito a restare a galla. L’idea più geniale è stata quella di fare cuffiette colorate con dei bottoncini all’altezza delle orecchie, cosicché coloro che devono portare la mascherina per più ore al giorno, la possano agganciare ai bottoni liberando le orecchie dal fastidio che ti creano i lacci.

Ne ho fatte per il San Donato di Arezzo, per il centro chirurgico Toscano e per il nostro ospedale di Bibbiena, che ringrazio di cuore. Loro, tutti mi hanno dato l’incentivo ad andare avanti con grande energia e fiducia, e poi è bello vedere i reparti colorati dalle mie cuffiette, portano una nota gioiosa, che di questi tempi conta quanto la cura.

Da dove proviene questa tua dote o passione che dir si voglia?

-La grinta l’ho presa da mio padre, da mia madre la dolcezza, ma a differenza di lei, io non ho mai troppa paura ad affrontare le situazioni, e allora sono andata dritta per la mia strada, anche se farò di tutto per non deluderli, ma soprattutto per non deludere me stessa.

Mia mamma, tra l’altro è una sarta bravissima, ma non credo di avere preso da lei l’arte e il piacere del cucito, perché io vado a mano libera, in quanto è con la libertà di movimento che amo fare le cose. A dirla in poche parole, detesto l’imposizione.

Effettui lavori di sartoria, aggiustature o crei anche modelli di sana pianta?

-Beh, chiaramente le “aggiustarture” da fare ci sono sempre, ma faccio anche abiti dall’inizio alla fine e mi danno un sacco di soddisfazioni. Mi capita a volte di non credere di averlo fatto io un abito di sana pianta, perché non è che credo troppo in me stessa, purtroppo sono tante le volte che mi sento inadeguata. Poi però le signore che lo indossano mi ricoprono di complimenti e lì divento davvero fiera di me.

Comunque la soddisfazione più grande la incontro fra la gente che mi apprezza e che giornalmente mi dà la forza di guardare avanti e non disperare, perché è vero il detto che a volte si chiude una finestra ma si apre un portone, almeno per il mio modo di pensare. Tutto sommato oggi sono soddisfatta di ciò che mi appartiene, e Irene che è mia figlia, rimane sempre la mia soddisfazione più grande.

Barbara Altadonna non è più quella meravigliosa bambina coi capelli fino al sedere, oggi è una donna completa, che sa entusiasmarsi con poco, ma soprattutto è una donna che tiene la schiena dritta e va avanti per la sua strada, nonostante tutto!

Grazie Barbara, sono più ricca a conoscerti, e complimenti per la vetrina natalizia che hai fatto, il Presepe è a dir poco suggestivo.

 

Marina Martinelli
Marina Martinelli
Marina Martinelli nasce nel 1964 e “arranca” tutta la vita alla ricerca della serenità, quel qualcosa che le è stata preclusa molto spesso. La scrittura è per lei una sorta di “stanza” dove si rinchiude volentieri immergendosi in mondi sconosciuti e talvolta leggiadri. Lavora come parrucchiera a Poppi e gestisce il suo salone con una socia. E' madre di due figli che sono per lei il nettare della vita e scrive, scrive ormai da molti anni anche per un Magazine tutto casentinese che si chiama “Casentino Più”. È riuscita a diventare giornalista pubblicista grazie proprio al giornale per cui scrive e questo ha rappresentato per lei un grande traguardo. Al suo attivo ha ben sette libri che sono: “Le brevi novelle della Marina", “L’uomo alla finestra”, “Occhi cattivi”, “Respira la felicità”, “Un filo di perle”, “La sacralità del velo”, “Le mie guerriere, quel bastardo di tumore al seno”. Attualmente sta portando avanti ben due romanzi ed è felice! È sposata con Claudio, uomo dall’eterna pazienza.

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