Chi vuole imparare lo “stiano”? Tutti a lezione dal Marioni

Alberto Marioni

Di Alberto Marioni

Mi garberebbe parecchio insegnare lo Stiano a chi lo conosce poco o lo ignora totalmente.
Un sarà facile pe’ nulla: dovrò avvalermi di espressioni verbali e figure retoriche complicatissime. Però state tranquilli, le spiegherò con attenzione in 10 semplici punti.
Ci state? Spero di sì.
Alla fine la vita l’è facile: o vai a Vada, o stai a Stia.

10) LA STIANIZZAZIONE:

Dovete capire, anzi, vu dovete capire che noi amiamo il nostro paese in modo illimitato e incondizionato.
Per questo non solo parliamo sempre di Stia nelle nostre conversazioni, ma la inseriamo proprio dentro le parole.
Du’ esempi?
A merenda si mangia la Stiacciata; la mamma, quando da piccini “si faceva confondere” ci dava gli Stiaffi, e st’estate l’è un’afa che si Stianta.

9) il TROTACISMO:

Dicesi “rotacismo” la trasformazione di consonanti in R.
Noi Stiani, in tal senso, siamo fissati:
il coltello diventa i’cortello, il caldo l’è i’cardo, un salto è un sarto.
Infatti, noi, se ci si mette a saltellare, ci ritroviamo automaticamente l’orlo sui pantaloni.
Perché, dunque, parlare non di rotacismo bensì di Trotacismo?
Facile: noi, come le trote, siamo strulli e un po’ eccezionali.
Infatti l’arbitro, un si sa come mai, l’è l’albitro.

8) LE CRASI:

La crasi è un’unione di parole. Pe’ capissi, il bianconiglio è una crasi perché è un bianco coniglio.
Noi si fonde ‘gnicosa: si fa ibbagno aiffiume, si va a abbronzassi aissole, si parcheggia ippandino suppengreppo e si va affunghi.
Spero v’abbiate capito.
Sennò, fatemelo dire, vu siete balordi.

7) IL PARAVERBALE:

A volte lo Stiano s’esprime senza bisogno di proferir verbo, ma solamente manifestando se stesso.
Tale situazione avviene nel momento dei saluti. Noi un s’ha bisogno di perderci in futili ciao, ma si compie un movimento ondulatorio sinusoidale di spiccata rilevanza estetica, nonché d’ineluttabile solennità.
In poche parole, s’alza i’ capo e basta.

6) I SOPRANNOMI:

Noi, coi soprannomi, siamo malati. Ma parecchio. Chiunque attraversi la stazione di PratovecchioStia o il semaforo (sempre rosso) sopra al ponte d’i’ campo sportivo, sarà etichettato in qualche modo. Un c’è scampo.
Riporterò una serie di esempi.
Si parte dalle abbreviazioni: i’ Mario, i’ Griso, i’Massa, i’ Vange, i’Barge, i’Bargi, i’Puccio.
Poi ci sono i diminutivi: Nardino, Marino, Renatino, Meino.
Non potevano mancare gli animali: i’ gatto, i’ lupo, Picchio, i’vorpe, i’tasso.
Spesso si vuole enfatizzare la provenienza: Porciano, Firenze, i’Roma. Ma l’Indiano non è di Nuova Delhi.
Infine, l’ultima categoria e forse la più bella è quella dei soprannomi che o non hanno una logica oppure sono così meravigliosamente assurdi che nessuno andrà mai a cercarne il senso. Ne dico alcuni a caso: Righetto, i’Mimmo, i’Penta, Nikkio, i’Canca, i’Senka, i’Tata, Panoco, i’Ciompa, Pecio.
Che sogno.

5) L’EPITESI:

Epitesi è la semplice aggiunta della E alla fine di una parola.
Noi Stiani e si fa sempre, ma sempre.
Se si va li’, si va lie.
Se si va qui, si va quie.
Se si va giù, si va giue.
Se si va su, si va sue.
Poi alla fine ci si ferma, perché un ci si fa piue.

4) L’INGLESE STIANO:

S’ha un problema dimorto grosso.
L’accento Stiano un ci va mai via. Nemmeno se si sta 25 anni in Cina, dove la R non esiste, si smette di dire “Ardo, Giovanni e Giacomo”.
Pensate che dramma umano è per noi parlare inglese:
Per proporre un te’ ad un’eventuale fidanzata britannica verrebbe fuori qualcosa come “du iu uonte a cap of tie?”.
Per non parlare dei nomi anglosassoni.
Esempi:
Bruce Springsteen= Brusse Springhestinne.
David Beckham= Devid Becamme
Patrick Dempsey: Patric Densi

3) I NEOLOGISMI:

Sono le parole inventate dal nulla.
Qui ci sarebbe da scrivere un libro e forse prima o poi lo farò.
Ve lo spiego in rima: Stia è il paradiso della Fantasia.
Noi, quando si beve alla goccia, si fa i’Gos.
Quando ci si capovolge cadendo a terra, si barta.
Quando si va nei boschi ci si mette i calzoni lunghi per non esser morsi dal serpenteregolo.
Oltre alle parole, ci garba introdurre anche nuovi detti e perle di saggezza.
Del tipo:
Per offendere uno zuzzurellone di due metri “se tu fossi arto quanto tu fossi strullo, tu berresti dalle grondaie”.
Per insultare un po’ tutti “t’hai una testa che un te la beccano nemmeno gli oci”.
Per dire a qualcuno che questi è particolarmente motivato e veloce “tu pari unto”.
Infine, per chiedere al destinatario chi sia costui:
“di chi tu sei?”
“Di che parrocchia tu sei?”
O ancora meglio:

“Chi t’ha pipato?”

2) IL MON-OTE’-ISMO:

Qui, più che d’una forma verbale, si parla di una religione.
Lo Stiano ha una sorta di legame atavico e indissolubile con una parola che come l’Apeiron di Anassimandro assume qualsivoglia valore pur non avendone alcuno:
Oté.
Oté è un’espressione di stupore, una forma rassegnata di assenso, a volte pure un saluto.
Oté è la voce che interrompe il silenzio.
Oté è.
E non può non essere.

1) LA DOMANDA:

È d’obbligo.
Siamo normali? No.
Questa è la nostra fortuna, il nostro più grande pregio. Probabilmente è per questo che chi viene a Stia, alla fine ci torna sempre.
In un mondo dove tutti credono di trovare risposte, noi ricerchiamo la conoscenza.
Perciò rispondiamo alle domande con altre domande.
A modo nostro.
Cioè questo:

“Ah sie?”
“To’ noe?”

E poi,
Piovve.