“Acqua piena di acqua”, il romanzo di Cinzia della Ciana

Parlare di un romanzo come “Acqua piena di acqua” senza fare cenno all’intreccio narrativo in esso contenuto, per non rivelare nulla – o comunque il meno possibile – a chi ancora non lo avesse letto, è impresa non di poco conto, perché evidentemente è proprio nel dipanarsi delle vicende delle tre generazioni di donne che ne sono protagoniste che si può realizzare come quello che si ha tra le mani è un libro che racconta una storia che è sì inventata, ma che contiene pochi, pochissimi elementi romanzeschi in senso stretto. Così, per parlarne, è necessario fare ricorso a metafore “acquatiche”, certi, così facendo, di non tradire l’idea originaria che sta alla base di questo testo.
“Acqua piena di acqua” è un libro che come un gorgo trascina sott’acqua, che a tratti fa desiderare ossigeno in modo quasi smanioso, che non fa sconti, pur senza bisogno di mostrare troppo, in netta controtendenza con una parte consistente della narrativa contemporanea dove molto è sacrificato sull’altare dello sbattere in faccia al lettore la realtà nuda e cruda. Un libro che è un po’ come il mare, che a nuotarci stando a galla si arriva a vedere solo fino ai propri piedi, grosso modo, e che quando le profondità diventano più grandi ed estese, diventa cupo, e obbliga il lettore a prendere un respiro ed immergersi, se vuol vedere cosa c’è sotto. Ma proprio come un gorgo, alla fine, restituisce tutto alla superficie, facendola ritornare piatta, calma, così da poter vedere chiaramente cosa si è salvato e cosa invece ha subito danni. Questa concezione dell’acqua come fonte di vita e al tempo stesso come forza impetuosa e inarrestabile che tutto travolge ritorna spesso nel libro, sia nei continui richiami all’”acqua piena di acqua tinta di pece”, sia nelle infinite situazioni della vita in cui tutti noi, prima o poi, in un modo o nell’altro “siamo acqua”. Dalla chiacchiera di paese, che come un rivolo d’acqua può scavare pazientemente anche la roccia più solida, ai cambiamenti che quotidianamente avvengono nella vita di ognuno, che come un sassolino gettato in uno stagno creano cerchi concentrici sempre più ampi che non sembrano fermarsi mai. E ancora, come un gorgo è la narrazione, che parte da un centro e poi vorticosamente se ne allontana, ma sempre con moto circolare e sempre con un centro ben definito, ben preciso, che è un centro sia narrativo – nel senso dell’evento attorno a cui tutto ruota, la morte di Letizia – sia emotivo: perché “Acqua piena di acqua” ha una forza, soprattutto, nel presentare in maniera sempre convincente i pensieri delle tre donne che ne sono protagoniste. Letizia, Anna, Ludovica sono tutte e tre donne costrette a fare i conti con il fiume degli eventi, e a realizzare che a volte ci si può anche far trasportare dalla corrente, ma che altre volte invece è necessario nuotare per non finire dove non si vorrebbe.
“Acqua piena di acqua” è un romanzo in cui molte situazioni e personaggi sono stereotipate, eppure questo in un certo senso ne costituisce la sua forza. Il paesino di “provincia cronica”, come cantavano qualche anno fa i Baustelle, che dell’autrice peraltro sono conterranei. Il sorgere dei primi condomini, che in tanti andarono ad abitare svuotando i centri storici. La gente che “dà buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio”, per dirla con un altro cantante, quel Fabrizio De André che si meriterebbe anche lui un posto nella Storia della Letteratura, ma questa è un’altra storia. Le donne tormentate e compresse tra il ruolo di angeli del focolare e il desiderio legittimo di affermare la propria identità. Gli uomini che spesso, semplicemente, non si accorgono di quello che accade alle loro compagne e mogli, perché troppo concentrati su sé stessi, sul lavoro, genericamente “assenti”. Tutti tratti che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento italiano: alzi la mano chi non ha avuto modo di avere esperienza diretta con nessuna delle situazioni sopra descritte. È un libro pubblicato nel 2016 anche se non lo sembra, e anche questo è un punto di forza. Per lo stile, innanzitutto: ricercato e molto classico ma senza autocompiacimenti. Per il rifuggire da qualsivoglia “soluzione facile”: non c’è alcuna volontà, in questo testo, di rassicurare il lettore che tutto andrà bene, ma non c’è neanche la frenesia tipica dell’oggi di anticipare che tutto andrà male. Per l’ambientazione, infine: un paesino della provincia italiana che potremmo spostare più a nord o più a sud senza che la sostanza cambi poi di molto; in un periodo storico di trasformazioni societarie profondissime, ma che in questo romanzo restano sempre – giustamente – ai margini, perché non funzionali alla narrazione. “Acqua piena di acqua” un libro un po’ fuori dagli schemi rispetto al romanzo contemporaneo, scritto e narrato da una voce femminile senza però risultare poco comprensibile, o astruso, ad un lettore uomo. Perché la mente umana, maschile o femminile poco importa, è come il mare: per riuscire a vedere un po’ più a fondo, l’unico modo possibile è accettare di immergersi sotto la superficie. Fate un respiro profondo, immergetevi nella lettura. Sott’acqua ci sono dei pesci che vale davvero la pena di vedere più da vicino.
Cinzia Della Ciana, Acqua piena di acqua”, 2016, Effigi Edizioni, 192 pp., Euro 14,00.

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