C’era una volta o due…

Un fantasma s’aggira per la televisione: è Mario Monti. Oggi, in splendida compagnia di Elsa Fornero, si presenta al far della sera con piglio monitorio: “se non fate i bravi, l’uomo nero s’approprierà di voi”. Non sono un assiduo frequentatore della televisione ma, se capita Mario Monti, cerco d’evitarlo; non per me, sia chiaro, ma per proteggere i miei figli: non voglio che segnino i propri limiti sul cookie monster a fianco del letto.

Mari Monti, presto battezzato “Super-Mario” (NDR: da CNN il 4 Novembre del 2011), s’affaccia al palcoscenico della politica sul finire del 2011: prima, aveva lungamente frequentato il backstage. Il backstage della politica, in poche parole accessibili a tutti, è il mondo della burocrazia: quella pratica che sostiene il potere costituito (monarchico, sovietico, liberale, etc.) per “incarico”. Il meccanismo è piuttosto semplice; il potere costituito (i ricchi, i bolscevichi, i nobili, etc.) segna l’indirizzo politico che l’”incaricato”, il burocrate, il manager, il “tecnico”, persegue come un mastino: se sgarra, finisce la carriera come Titta Di Girolamo.

Il burocrate “incaricato” ha l’appeal della scatoletta di tonno: insapore, già pronto e digeribile. In buona sostanza, l’”incaricato” è irrilevante all’intelligenza quanto l’Ode al Pomodoro: se non per il dettaglio, ben più profondo, di segnalare un bisogno imprescindibile. Nella metafora, l’aprirsi d’una scatoletta di tonno segnala la necessità di cibarsi. Fuor di metafora, l’apparire d’un “incaricato”, decretato per eccezione e sostenuto dall’emergenza, rivela le briglie dell’ordine costituito.

Nell’inverno del 2011, in Italia, le cose stavano grossomodo così. Umberto Bossi avrebbe voluto trasferire qualche ministero a Monza prima di scoprire, caso più unico che raro nel Bel Paese, che stava già “distraendo” dei fondi pubblici in favore della famiglia (NDR: il “caso” emerge nei primi mesi del 2012). Giulio Tremonti, ministro dell’economia con precedenti da consulente all’elusione fiscale, sosteneva le pizzerie italiane: a dir suo, gremite di gente. La Camera respingeva il Rendiconto Generale del Bilancio dello Stato, con un unico precedente conosciuto (NDR: un lontano governo Goria). Forza Italia era il primo partito d’Italia e pullulava, in parlamento, di “tecnici” del diritto: tanto per far intendere sulle competenze all’abbisogna. Il governo Berlusconi avviava l’iter di riforma Costituzionale, introducendo il principio di pareggio di bilancio: iter concluso da Mario Monti, appena 6 mesi dopo, senza bisogno di referendum confermativo (sic!). Sergio Marchionne stava liquidando la Fiat, in “polemica” col sindaco di Firenze (Matteo Renzi) ed un sindacalista (Maurizio Landini) che gli facevano da spalla comica. Mario Draghi, non ancora presidente della BCE, elogiava l’”ottimo lavoro” compiuto in Grecia dalla troika (NDR: in un’intervista al FT rigorosamente in inglese) ed aveva appena controfirmato la lettera Trichet: quella recapitata dalla BCE al Capo dello Stato (Giorgio Napolitano). Un po’ più a nord, Deutsche Bank (banca privata di diritto tedesco) aveva già avviato una copiosa speculazione sui titoli di stato italiani (NDR: oggetto d’indagine alla procura di Trani, presto trasferita dalla Cassazione a Milano … per competenza. Oggi, ancora, in fase istruttoria). GianRoberto Casaleggio era dedito alla promozione dell’Italia dei Valori e Beppe Grillo disponeva del più influente blog d’Italia, oltre a qualche lista civica. In Italia, nessun cittadino né forza politica si definiva “sovranista” ed io avevo appena compiuto 40 anni.

L’universo mondo faceva i conti con la crisi finanziaria del 2008: quella, per intendersi, provocata dai barboni (poveri) che volevano farsi una casa a spese di ricchi troppo buoni (il sistema finanziario). Favola che sott’intende il credo universale secondo il quale il capitalismo non è una centrale nucleare, che armeggia con materiale fissile, ma un caveau strabordante di diamanti: bisognoso di custodi piuttosto che di fisici nucleari. Stati Uniti e Giappone stavano annaffiando di carta straccia la novella Fukushima: la BCE l’avrebbe seguiti con la presidenza Draghi. L’Inghilterra era, ancora, membro effettivo della Comunità Europea mentre si sparacchiava qualche colpo per “democratizzare” la Libia del post-Gheddafi. La Cina “lavorava” (crescendo al ritmo dell’8%) sostenendo il liberismo, l’Ottimo Paretiano e la ricchezza dell’ordine costituito in Occidente; dimentico, ormai, del disastro provocato dall’avidità di classe: quella che impedirebbe le politiche keynesiane (di Stato) e la proporzionalità del prelievo fiscale. Tutti, nessuno escluso, erano fervidi sostenitori del monetarismo e dei chicago boys: diritti civili, ancora, non pervenuti.

Questa Lunga Pausa Caffè dell’Anima, secondo la quale i colpevoli d’un disastro nucleare sarebbero gl’utenti della rete elettrica e non l’imperizia dei “tecnici” di fronte all’innata pericolosità del plutonio, è volgarmente nota come Thatcherismo: l’atto col quale i “ricchi” hanno vinto la lotta di classe in Occidente. La conseguenza diretta di questa vittoria (momentanea) non è l’abiura della stasis che governa la polis ma l’iniqua distribuzione delle responsabilità. Ciò a dire che, visto che ci sosteniamo sopra un sistema instabile e tendenzialmente catastrofico, i danni collaterali li paga TUTTI la classe soccombente. Non a caso i “ricchi” sono sempre meno, e sempre più ricchi, mentre i “poveri” ingrassano le fila e vanno peggiorando: inutile, quindi, rimpolparli con gl’immigrati.

In questo contesto viene “incaricato” Mario Monti: la Maggie Thatcher de’ noartri (NDR: trasteverino per l’italiano “di noi altri”). Ma visto che “the lady that never turns” non somiglia, per aspetto, a Super-Mario, si provvede con un clone: Elsa Fornero. L’operazione mediatica funziona e così, al popolo sovrano, viene venduta la Fornero come fosse la Merkel: da lì a poco, agl’Inglesi, si tenterà di vendere Theresa May con lo stesso cliché e medesimo risultato. Di più: l’Italia ha uno scoglio da superare che si chiama Costituzione. La Costituzione italiana, stilata dai partiti di massa (di cui uno comunista), non prevede che si possa “incaricare”. Si può “eleggere”, “nominare”, “promulgare”, “votare”, “approvare”, “emanare” e fare tante cose nel dettato costituzionale ma, sembra, che l’incaricare sia proprio escluso. Dei 66 poteri riconosciuti dalla dottrina al Presidente della Repubblica, l’atto di “incaricare” non c’è: ma Giorgio Napolitano, evidentemente, non lo sa.

Fatto sta che, mandato da Trichet e Draghi (a loro volta “mandati” dalle Istituzioni europee, “mandate” dall’ordine dei possidenti, a sua volta costituitosi ad esecutivo sovranazionale, al riparo dalla sovranità popolare), Giorgio Napolitano decide d’incassare le dimissioni “spintanee” (NDR: “spintaneo” non è un errore di battitura ma l’antifrasi di “spontaneo”) del Presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi) ed “incaricare” Mario Monti. Prima, però, l’assolve da ogni peccato, lo ripulisce dall’incarico per Goldman Sachs (quelli che avevano certificato il bilancio greco!) e, nel caso gli venga a mancare una manciata di parlamentari per il rito tedioso della fiducia, lo nomina senatore a vita. Cautele, per onor di cronaca, del tutto inutili: il governo Monti incassa 556 voti favorevoli alla Camera e 281 al Senato. I partiti si accodano ed il popolo festante lo saluta con un indice di gradimento pari ad 8 italiani su 10, come s’affretta a certificare l’istituto Deimos con l’ennesimo, prezzolato, sondaggio. La c.d. “antipolitica” nasce qui, per montare nel corso degl’anni.

Sulle ali dell’angoscia, saggiamente instillata nella mente del gregge dalla propaganda, l’”incarico” di Mario Monti si risolve nel far pagare l’avidità delle elites ai meno abbienti. Tranquilli: se Super-Mario fosse stato “incaricato” di gestire un patrimonio, avrebbe svolto il compito sulle stesse direttrici: far in modo che, all’incasso, si presenti solo chi già dispone. Fatto sta che la montagna di fiducia, speranza e consenso, riposta in Mario Monti si volge al peggio. Per capire quanto sia consistente il peggio, basta prestare attenzione alle vicissitudini del grande movimento di massa inaugurato da Mario Monti: Scelta Civica.

Scelta Civica debutta alle politiche del 2013, ottenendo il 9,3% dei suffragi e proclamandosi subito per le larghe intese: sostiene il governo Letta, quello tranquillo, e poi s’intorta da sola. Scelta civica si fonde con l’UDC e s’imbarca Pietro Ichino: poi sostiene il governo Renzi. Già nel 2014, Scelta Civica molla l’UDC e cambia nome: con Guy Verhofstadt (NDR: ma chi cazz’è?) s’imbarca per “Fare!” (NDR: l’inciso è il nome del soggetto politico, esclamativo incluso) ma gl’italiani preferiscono che stiano fermi. Alle regionali del 2015, Scelta Civica appoggia un po’ questo ed un po’ quello: accontentando l’intero arco costituzionale. Nel 2016 confluiscono nella coalizione di centro-sinistra. Finiscono per dar vita ad un gruppo parlamentare con ALA, del pregiudicato Verdini, a sostegno del governo Renzi. Fatti fuori dal governo Gentiloni, nel 2018 la Scelta Civica opta per Noi con l’Italia: nel Luglio del 2019 vengono entrambi cancellati dalla lista dei partiti politici riconosciuti e si gettano nel grande mare di MAIE.

Nel frattempo, perché è questa la conseguenza ovvia dell’incarico dal vertice al salvatore della patria, la massa (ciò a dire i presenti inclusi) si coagula altrove: segnatamente in due partiti, entrambi “sovranisti”. Il “sovranismo” patrio, al netto dei doverosi distinguo, contiene l’identico ribellismo: “se ce lo chiede l’Europa, che vada a farsi friggere”. Ovviamente si tratta di un’analisi brutale ma non troppo difforme dal vero. In effetti, gli istituti di diritto comunitario sono intrinsecamente anti-democratici per un fatto ovvio: vinta la lotta di classe, ognuno in casa propria, le elites si sono riconosciute simili l’un l’altra: “elites di tutto il mondo, unitevi”. Prima negli scantinati di qualche consorteria muratoria, poi ospiti della Regina a largo del mediterraneo, poi ancora in piena luce in qualche amena località di villeggiatura e, infine, istituzionalizzati nella burocrazia continentale: dalla quale peschiamo i nostri “tecnici”.

Poi, ça va sans dire, oltre a portare avanti il singolo incarico, i “tecnici” s’impegnano nelle riforme costituzionali. Prima l’assurda pretesa che, un superiorem non recognoscens, possa declinare la propria sovranità ad istituzioni concorrenti (NDR: mi riferisco all’inopinata lettura dell’Art. 11 della Costituzione); poi la rinuncia all’imprenditoria di Stato (NDR: che, modernamente, è il primo consumatore interno ma non svolge più nessuna funzione produttiva grazie alle privatizzazioni di Prodi e Draghi); poi, ancora, la privatizzazione dei c.d. beni pubblici (con la costituzione di rendite di posizione nelle infrastrutture, nelle telecomunicazioni, nella gestione dell’energia, dell’acqua etc.); il rafforzamento dell’esecutivo a danno del legislativo e del giudiziario; l’espansione dei poteri dell’unico referente stabile del nostro sistema istituzionale (NDR: vale a dire quello in carica per almeno un settennato), garante del patto atlantico, prima, ed anche di quello europeo, poi; l’esclusione, su base costituzionale, delle c.d. politiche keynesiane (grazie alla riforma costituzionale avviata da Berlusconi e completata da Monti); ed infine il tentato scippo dell’intera funzione legislativa con la corsia preferenziale del Senato riformato alla Renzi. Ecco, sul tentato scippo due parole di congedo: senza Zagrebelsky, Canfora (che muovono la coscienza dello 0,000000000000001 della popolazione) ed i “populisti” (che “sobillano” le masse), oggi ci troveremmo le direttive europee, congegnate da un qualche comitato “incaricato” dalla BDI (solo perché Confindustria è meno capace ed efficiente), senza neppure il minimo sindacato d’un provvedimento recettizio.

Resta scontato che il sistema parlamentare, congegnato dai partiti di massa, dei partiti di massa e per i partiti di massa, non dovrebbe prevedere governi “incaricati” ma solo ed esclusivamente politici. Non a caso, un parlamento che non riesce a fare politica viene sciolto per indire nuove elezioni: E’ QUESTA LA POLITICA. Nessun bracciante con la terza media si è mai messo in testa di fare il Ministro dell’Agricoltura, quanto un sindacalista di fare impresa. Quella che, noi moderni, chiamiamo democrazia è la facoltà di sindacare, in parlamento od all’interno d’un consiglio di fabbrica, l’operato di chi dispone: fermo restante che è il disponente quello inclinato al comando. Io, ad esempio, non ho mai pensato d’istituirmi a capo d’un movimento di massa: per indiscussa incapacità. Tuttavia mi accontenterei di essere ascoltato, in un qualche modo, quando si assumono decisioni che ricadono, direttamente od indirettamente, nella mia sfera giuridica: mia come di ogni altro “poverino” di questo Bel Paese. Questo patto, implicito nelle moderne democrazie, nate per eleggersi un sovrano (NDR: intendo nate con la Glorious Revolution), non dovrebbe mai essere violato: chiunque abbia primeggiato nella lotta di classe.

Quando un’intera classe politica si dispone supina all’avvento dell’”incaricato”, pone le condizioni della democrazia classica: quella che nessuna elites, né io, vorrebbe mai. Se non la ricordate, ve la rinfresco io: “quando la moltitudine, ingiustamente oppressa, tratta dall’ira e spinta da furore, si delibera vendicare gli oltraggi ricevuti, subito ne nasce la democrazia” (Tommaso Garzoni). Questa lezione, io credo, i mandanti di Super-Mario l’hanno capita bene: e per questo ringrazio i “populisti”. Ma allora, perché oggi ci stanno ricascando?

In effetti no, non ci stanno ricascando: ma si prendono, comunque, un grosso rischio. L’”incarico” di Super-Mario 2, oltre alla distribuzione iniqua del malloppo secondo l’adagio per cui c’è “debito buono” e “debito cattivo” a proprio insindacabile giudizio, è ben più ambizioso. L’Elite Unita d’Europa (acronimo E-UE), soprattutto dopo la brexit, ha rafforzato la conventio ad escludendum dei “populisti”: per questo Mattarella tremava tanto ad incaricare l’intesa giallo-verde, anche a scapito della nostra comune prassi istituzionale. Giuseppe Conte, nel suo rodaggio europeo, ha lavorato egregiamente in tal senso: riportando alla demo-cristiana ragionevolezza il Movimento 5 Stelle. Oggi, grazie alla copertura del debito da parte della Germania, la promessa di un “modesto benessere” per il popolo d’Italia sembra un orizzonte perseguibile: ma bisogna riscattare la Lega di Salvini (quello che ha fatto finta d’ubriacarsi al Papeete invece d’essere silurato nei circoli che contano) per riavviare i giochi parlamentari. Matteo Salvini non può, se vuole riattivare una forma d’alternanza, non accettare l’E-UE: che dia retta al buon Giorgetti. Prima gli è stato suggerito discretamente, ora Super-Mario 2 lo chiederà a gran voce: …

perché è questo che prevede il suo “incarico”.

Andrea Pancini
Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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