Come il mondo è diventato una favola

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Immanuel Kant, nel 1781, concludeva la sua opera monumentale così: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente (…): il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”. Due cose, separate e distinte, che potremmo chiamare Natura (intesa come realtà, “cosa” od ancora Essere) e Coscienza (intesa come l’umana capacità di “rendersi conto”, di “pensare”); la prima che accade spontaneamente (dal Greco autò-matos, “sé-movente”) mentre la seconda succede alla consapevolezza. Se ne deduce, agevolmente, che l’unica “cosa” fornita di coscienza (vale a dire l’Essere-Umano) si comporta “progressivamente”: agisce per il meglio nei limiti della propria conoscenza.

Resta pacifico che, qualunque “cosa” insista al di là del cielo stellato (“Iperuranio”), non è (e non può essere) oggettiva: ciò a dire che non è una “cosa”, non è “in essere” o, se preferite, non esiste. Non esiste, ben inteso, per difetto nostro! Siamo impediti nel cogliere la “cosa in sé” dalla nostra stessa natura (perché l’Essere-Umano è, anche, una “cosa”): una natura che cogliere le “cose” entro lo Spazio ed il Tempo. Se Dio, “il mondo delle idee” o qualunque altra entità assoluta, si aggira al di là dello Spazio e del Tempo non ha (e non può avere) né una posizione (non occupa la “realtà”, il mondo delle “cose”) né produce alcun effetto: men che meno può postularsi cosciente!

Tuttavia, “il mondo delle idee” esiste: esiste e come! Esiste perché occupa uno spazio, il “corpo”, entro un certo tempo, la “vita”, e produce effetti. Effetti, per altro, tanto unici quanto peculiari. Se le “cose” accadono, ovvero si succedono nel tempo secondo un processo automatico e prevedibile, il “corpo vivo” A-G-I-S-C-E: produce fenomeni (dette azioni) spiegabili solo postulando una qualche legge ulteriore a quella naturale. Chiamiamo questa legge Libero Arbitrio, “mondo delle idee”, “coscienza”, “Legge Morale”, “dio” e finiamola qui.

Resta il fatto che, se ponete un corpo vivo (“animato”, se preferite) su un cornicione, e questo è un gatto, sarà guidato dall’istinto: che gli fa intuire la “gravità” (NDR: il virgolettato aiuta a capire il gioco di parole) e lo guida automaticamente all’autoconservazione. Se il gatto precipita è solo per pressappochismo: una falsa rappresentazione della realtà. Se, il corpo vivo sul cornicione, è un bambino: siete legittimati a tremare. Il puer (in Latino “bambino” quanto “stupido”) non è guidato dall’istinto ma non sa, ancora, agire per il meglio; magari si auto-conserva ma probabilmente non succederà: perché il bambino, il puer, è uno sprovveduto! Se, sul cornicione, insiste un Essere Umano adulto e responsabile, i casi sono tre: od è un funambolo, che ha competenza sufficiente a saper che fare su un cornicione (quella che comunemente chiamiamo “competenza professionale”), ovvero è un pover’uomo che preferirebbe non trovarsi lì, od ancora è un aspirante suicida. Insomma: un Essere Umano, sul baratro, decide da solo cosa vuole Essere: né il gatto né il bambino lo può, anche se, per ragioni diametralmente opposte.

Di solito, un Essere Umano, più conosce e meglio agisce: posto che sia chiaro, ad un comune mortale, tanto come stanno le “cose” quanto cosa debba intendersi per “meglio”. All’uopo, e nei limiti dell’umano, avrei qualcosa da dire: soprattutto se avete intuito che siamo sul baratro.

Trent’anni fa, una foto iconica ritraeva Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, mano nella mano, uniti dall’abbraccio di Bill Clinton: sullo sfondo, il prato della Casa Bianca. Il 13 Settembre del 1993 venivano ratificati gli Accordi di Oslo: accordi di pace, per farla breve, con cui si sarebbe dovuta risolvere la questione Israelo-Palestinese. La sera del 4 Novembre 1995, mentre prendeva parte ad un comizio in favore della pace che lui stesso aveva sancito, Yitzhak Rabin viene assassinato da un “terrorista” haredim. Shimon Peres, la mente dietro agli Accordi di Oslo, succede a Rabin ed indice nuove elezioni: con il nuovo sistema elettorale, che prevede l’elezione diretta del Primo Ministro. La coalizione labourista di Peres, nel Novembre ’95, è data 20 punti percentuale sopra l’opposizione del Likud, capitanata da Benjamin Netanyahu.

L’idea di “Bibi” Netanyahu, all’epoca minoritaria, è quella di far saltare gli accordi di pace: senza ulteriori prospettive. Per farlo, visto che Israele è una democrazia rappresentativa, bisogna vincere le elezioni: vincerle ad ogni costo. Dato che nessuno ha la minima idea di come spostare un quinto del “corpo” elettorale in appena sei mesi, una fondazione vicina al Likud assume Arthur J. Finkelstein: a cui viene affidata la campagna elettorale.

Arthur Finkelstein, che riposi in pace, è stato un omosessuale ebreo nato a Brooklyn; intimo amico e politicamente sodale di Ayn Rand: che riposi in pace anche lei. Per tutta la sua esistenza, Arthur Finkelstein è stato un pollster, un esperto d’indagini demografiche, un sondaggista ovvero, propriamente, si è occupato di statistica: la scienza che studia, con metodi matematici, i fenomeni collettivi. Finkelstein partecipa, già nel ’72, alla rielezione di Nixon: scampa il Watergate per miracolo e guida l’elezione di Reagan, prima, e di Bush Senior, poi. Quando sbarca a Tel-Aviv, nel ’95, ha già un sistema collaudato che si ripromette di far funzionare anche nel sistema democratico israeliano.

Spostare un quinto del corpo elettorale, da una parte ad un’altra in sei mesi, è un affare serio. Un Essere umano, adulto e responsabile, non cambia opinione dall’oggi al domani: a meno che non accadano dei fatti (delle “cose”) decisivi. Può capitare l’arresto del capo della mafia, Bernardo Provenzano, proprio il fine settimana d’una tornata elettorale: ma non è un fatto decisivo (io, ad esempio, non l’avrei mai consigliato). Decisivo è un fatto inaccettabile. Inaccettabile è il cadavere d’un bambino siriano, spiaggiato in Turchia, oppure un naufragio di profughi nella Calabria ionica, od ancora una tassa sui patrimoni: inaccettabile, per un israeliano del 1996, è la divisione di Gerusalemme fra ebrei e palestinesi. Ma al fatto inaccettabile non basta l’accadere: il fatto deve compiersi nel mezzo d’una campagna elettorale.

E se non succede?

Che domanda! Se non succede lo si fa accadere. Nel nostro caso, si tappezza l’intero paese di manifesti che rinfacciano a Shimon Peres di aver diviso Gerusalemme coi palestinesi; ma c’è anche chi ha dato tutto lo spazio necessario ad uno sciocco che favoleggiava di patrimoniali: se vi viene in mente Fausto Bertinotti, io non ve l’ho suggerito. Il punto è che il fatto non deve, per forza, accadere: è sufficiente che sia una minaccia plausibile. Un tarlo che insinui un sospetto al quale è dato reagire. Negli Accordi di Oslo, niente era stabilito per Gerusalemme così che, la sera del dibattito fra Peres e Netanyahu, il candidato laburista si pronunciò espressamente: escludendo l’ipotesi. Peres dichiarò di non voler dividere Gerusalemme ma, così facendo, impose l’argomento al corpo elettorale: le elezioni divennero, solo, un referendum sul destino di Gerusalemme.

BINGO!

Ora chiedetevi questo: nel caso che sia sul tavolo la questione di Gerusalemme, vi fidate più di Peres, che ha stretto la mano ad Arafat, o di chi, quel terrorista, non lo toccherebbe nemmeno con una canna da pesca? Vi prego, non ci pensate: messa così, perfino io sarei tentato di sostenere Netanyahu. Le “cose”, naturalmente, non stavano affatto così: sul tavolo non c’era la questione di Gerusalemme ma il processo di pacificazione di tutta “la terra tra il mare (Mediterraneo) ed il fiume (Giordano)”!

Nella mente di uno Statista anni ‘90, la questione non poteva essere che questa: quanto, ad esempio, nella mente di Occhetto non poteva che esserci, nel 1994, la saldatura delle forze popolari divise dalla guerra fredda. Shimon Peres, da politico navigato, voleva sfruttare l’onda emotiva suscitata dal martirio di Yitzhak Rabin. In termini spiccioli e comprensibili, Peres voleva discutere e ragionare di una “cosa” sulla quale era lecito dissentire o consentire: magari praticando un certo sciacallaggio emotivo. Al netto del momento emotivo, entro il quale lo voleva fare, Shimon Peres voleva discutere entro “la società che rende libere le facoltà critiche della persona (NDR: magnifica sintesi di Popper su Kant). Arthur Finkelstein voleva tutto fuorché questo: ed ha avuto “ragione” lui!

Finkelstein ha avuto così tanta “ragione” che è, in gran parte, merito suo il successo di Orbán, in Ungheria, ed il suo canto del cigno: l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Il 20 Gennaio del 2017, Donald Trump giurava sulla costituzione; il 17 Agosto, Arthur Finkelstein, passava a miglior vita: volgendosi, decisamente, verso orizzonti metafisici! Intanto, nel mondo sublunare lasciato da Finkelstein, l’ottusità ha continuato a dilagare: seminando mura che non funzionano. Si può discutere se Yasser Arafat sia stato un terrorista, quanto che gli Accordi di Oslo avrebbero retto alla sfida del tempo; in ogni caso, al di là del muro di Gaza, nessun “Dio degli eserciti” sosteneva la causa palestinese: al di qua della siepe, “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, nemmeno.

Oggi, le “cose”, non stanno più così.

Il “metodo Finkelstein”, voglio esser sicuro che l’abbiate ben inteso, non contempla il DECIDIBILE fra le opzioni offerte dalla politica: per ciò stesso esclude il ragionamento. “There is no option”, amava ripetere Margareth Thatcher che, con Arthur Finkelstein, condivideva la passione destrorsa! Quando tutto si riduce all’inaccettabile, il territorio non è l’emancipazione del bambino dalla condizione puerile (NDR: la paideia) ma è il debutto del bambino nella condizione adulta: non è educazione ma è dottrina! Da qui segue che, come si celebra una cresima, così s’invita il corpo elettorale al seggio: per celebrare un rito di conferma.

Ve lo ricordo ancora, anche se l’ho già detto: un Essere Umano, sospeso sul cornicione, decide da solo cosa vuole Essere. Una “cosa” circoscritta dalla natura, semplicemente, accade. Non ci vuole molto per capire che, Israele, sulla striscia di Gaza sta decidendo di sé. A questo punto c’è da chiedersi quale ragionevolezza abbia portato un intero Paese, e non un termitaio, a sospendersi su un cornicione: con queste poche righe, per parte mia, ho cercato di portare il mio contributo. Non me l’ha chiesto nessuno e non mi paga nessuno. Ritaglio il mio tempo nella convinzione incrollabile che l’Essere Umano disponga di una coscienza e che questa sia progressiva: vale a dire che lo porti ad agire meglio se portata a vedere più lontano, più “cose”. Di certo la miopia, nell’ombra, non ha mai aiutato nessuno: men che meno la nostra società che si è, col tempo e con tanta fatica, aperta.

Io, hic et nunc, ho voluto farvi vedere una “cosa”, piuttosto che raccontarvi una favola: nella speranza che voi, un giorno, possiate comportarvi meglio …

meglio di come avete fatto finora.

 

 

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Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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