La Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio di Gerusalemme, è una memoria liturgica di origine devozionale, che viene celebrata il 21 di novembre. La ricorrenza si basa sul racconto del Protovangelo di Giacomo, uno degli apocrifi, dove si narra che all’età di un anno Maria venne presentata ai sacerdoti del Tempio dai suoi genitori, Anna e Gioacchino per la consacrazione a Dio. Così il testo: ”Per salire al Tempio vi erano quindici gradini, che Maria salì da sola, benché tanto piccola. Poi Il sacerdote l’accolse e, baciatala, la benedisse… Maria dimorava nel Tempio del Signore come una colomba e riceveva il nutrimento dalla mano di un angelo”. L’origine apocrifa della celebrazione ne ritardò l’estensione in Occidente, dove la festa iniziò ad essere celebrata ad Avignone nel 1373, per essere poi definitivamente introdotta nel 1585 ad opera di Sisto V. La data della festività, il 21 novembre, deriva dallo stesso giorno di consacrazione della basilica di Santa Maria Nuova nella città di Gerusalemme che risale al 543, basilica voluta dall’imperatore Giustiniano I. L’ingresso di Maria nel Tempio rappresenta una fuga mundi, simbolo delle perfezioni che Dio aveva donato alla Vergine fin dal suo immacolato concepimento: l’Immacolata, la Tota Pulchra, la Vergine che diventerà la Madre del Figlio di Dio, Gesù, la Corredentrice accanto all’unico Redentore del mondo, la Madre della Chiesa. L’iconografia raffigura la scena con la piccola Maria in atto di salire la scala che conduce al Tempio dove ad accoglierla c’è il Sommo sacerdote. Nella volta della chiesa del Salvatore all’Eremo di Camaldoli dove sono affrescate le scene più significative della storia mariologica, in corrispondenza dell’altare maggiore, è possibile osservare una pittura murale con la scena della Presentazione al Tempio. Secondo la tradizionale iconografia, la piccola Maria vestita di bianco e con una candela accesa in mano, viene accolta dal sommo sacerdote del Tempio, dopo aver percorso da sola, la scalinata architettonica, formata da gradini semicircolari. A destra in basso, una madre con in braccio il figlioletto fa da contraltare agli anziani genitori di Maria, Gioacchino ed Anna, ritratti a mezza figura e intenti a scambiarsi uno sguardo che nasconde malinconia e insieme consapevolezza di assolvere il voto, pronunciato al momento della scoperta della maternità prodigiosa. Condotta con una tavolozza dai toni delicati, la pittura murale si presenta entro una cornice rettangolare decorata da quattro testine angeliche in stucco. Nelle campate laterali della volta, entro cornici dorate mistilinee, sono raffigurati due angioletti in volo mentre sorreggono cartigli con iscrizioni tratte dall’Elogio che la Sapienza tesse di se stessa e che la liturgia applica alla Vergine Maria: quasi oliva e quasi platanus (Siracide,24,14. Sono cresciuta come un olivo maestoso nella pianura e come un platano mi sono elevata). Databili dopo gli anni ’80 del Seicento, le pitture sono state attribuite dalla scrivente, su base di raffronti stilistici e fonti documentarie, ai fratelli Giuseppe e Antonio Rolli bolognesi, artisti che occupano un posto di rilievo nella pittura del secolo XVII. Gli stucchi di stile barocco che decorano la volta, senza soluzione di continuità, sono opera di Galeazzo Riva e suo figlio Andrea, originari di Lugano, i quali sottoscrissero con i monaci camaldolesi un contratto il 15 ottobre 1659 e completarono il lavoro nel 1660, data nella quale ricevettero l’ultimo pagamento a Firenze. La decorazione a stucco ricca e fastosa, tipicamente barocca, caratterizzata dall’horror vacui, presenta elementi tratti dalla mitologia, dalla scenografia teatrale, nonché dal mondo naturale, presentati con sfarzo attraverso l’utilizzo dell’oro e riproposti con soluzioni innovative. Una tipologia decorativa che sorprende in una chiesa di eremiti. Anche Ella Noyes che visitò il Casentino nei primi anni del Novecento rimase colpita da questa sovrabbondante ornamentazione e nella guida pubblicata a Londra nel 1905 così scriveva in proposito:” c’è un contrasto stridente fra la semplicità degli anacoreti e la chiesa dove vanno a pregare. L’interno della chiesa è infatti barocco nel senso più esagerato del termine, elaborato in modo incredibile, pieno in ogni angolo di stucchi dorati, con coreografiche ninfe, che vorrebbero passar per angeli”. Forse possiamo trovare una spiegazione relativa alle scelte fatte dai monaci alla metà del secolo XVI, considerando che la magnificenza terrena era considerata un mezzo per la maggior gloria di Dio: AD MAIOREM DEI GLORIAM.