In balia degli eventi

Passavo il tempo sulla Brexit.

L’idea era quella di pubblicare due paginette sul dazio che David Cameron s’era imposto di pagare, per il successo conservatore alle politiche del 2015, risoltosi nella catastrofe del referendum sull’adesione alla UE. Me ne stavo nella cuccia con il cane, Gramsci, Ortega y Gasset e Lasch, mentre spulciavo il blog di Dominic Cummings. Pensavo al processo per empietà della democrazia ateniese, che doveva avvelenare i pozzi di Pericle (Aspasia ed Anassagora su tutti) ed invece fu usato dagli epigoni della democrazia per condannare Socrate. Pensavo alla “sovversione” intellettiva di chi è stato educato a non farsi influenzare (a questo servono i dialoghi Platonici) ed agli influencers che popolano la rete. Pensavo alle comunità vis a vis che, lungi dal paradiso, consentono il controllo sociale della devianza (democrazia?) e contengono l’istinto alla sanificazione sociale: ché Socrate dava del tu ad Aristofane e Protagora, come ad Alcibiade od al pescivendolo sotto casa, e con tutti dialogava. Oggi si “cinguetta”, come il regno animale.

Insomma, pensavo.

Poi, come spesso accade alle nature troppo riflessive, sono stato superato dagli eventi. Ho appreso, col colposo ritardo di chi si connette all’ora del telegiornale, che Donald Trump aveva fatto del Campidoglio un “bivacco di manipoli”. Sì: Donald Trump, il Presidente degli Stati Uniti d’America. Persino Colin Power non faticherebbe più del minuto a rinvenire la smoking gun d’un atto, né più né meno, sovversivo. Così Jake Angeli (lo shamano di vattelappesca), Richard Barnett (attivista in favore del diritto alla pistola), Nick Hocs (suprematista bianco, con riferimento alle cazzate), Tim Gionet (neo-nazista dell’Alaska) e qualche innocua pensionata di destra, si sono ritrovati, polizia permettendo, al Campidoglio: su mandato del Presidente degli Stati Uniti, pubblicato su Facebook. Visto il mandato, il pubblico cittadino Zuckerberg ha pensato bene di bannare il Presidente da Facebook mentre i politici non sanno bene se, e come, destituirlo. Magari è la volta buona per scoprire se la c.d. “valigetta nucleare” funzioni sul serio: Dio non voglia che a Trump prenda qualche curiosità.

Detto questo, è ovvio che siamo innanzi ad un evento di magnitudine storica: l’incendio del Reichstag, l’attentato alle torri gemelle, il colpo di stato di Claude François de Malet. I primi li conoscete ma, ne sono sicuro, il golpe di Malet vi sfugge: vi vengo in soccorso. Claude François de Malet è stato un generale napoleonico, congedato nel 1805 e, poi, rinchiuso in una casa di cura parigina dal 1808. Nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre del 1812, il generale Malet, elusa la sorveglianza dell’ospedale e riposta la vestaglia, si propose di esautorare Napoleone, ripristinare il regime repubblicano, proclamarsi comandante militare di Parigi e nominare eminenti personalità in ogni dove dell’apparato statale: a loro insaputa. Complice la fake new sul decesso dell’Empereur, impegnato nella campagna di Russia, Malet si presentò, in alta uniforme, al quartier generale dell’esercito con in mano tutti i documenti necessari al proprio insediamento. Riconosciuto dal generale Hulin, che si ricordava quanto Malet non stesse bene, fu arrestato e passato per le armi.

Se la storia di Malet v’ha strappato un sorriso, mi fa piacere. Eppure, credetemi, non erano (solo) queste le intenzioni. Volevo riflettere con voi sul valore degli eventi che, come una nuvola che oscura il sole per passar oltre, a volte determinano la storia e, più spesso di quanto crediate, si fissano negli annali all’insaputa delle moltitudini. Così, ad esempio, Derrida provò a spiegare che l’attentato alle torri gemelle era un evento; uno strappo alla normalità di un mondo entro il quale, sempre e comunque, qualunque cosa può accadere: nessuno ne tenne conto. Di converso, l’evento Malet, che non ha prodotto effetti di magnitudine catastrofica (escluso per Malet, ben inteso) non vi sembra neppure un evento storico. Il generale Hulin, che ben seppe maneggiare le circostanze, nemmeno lo ricordate nelle preghiere. Non vi scoraggiate, non è colpa vostra.

Se non foste immersi in una visione isterica del mondo, sapreste benissimo che già le misere vite sono esposte ad ogni sorta d’accidente che, non per questo, si ripete ossessivamente quanto le mele cadono dagli alberi. Così gli eventi, anche quelli appuntati sugli annali, non dispongono di una rilevanza in sé e per sé ma producono gli effetti che noi stessi gli decidiamo. Socrate, di fronte all’unicità dell’evento morte, ad esempio, non ha mosso un ciglio: un ostacolo inamovibile di fronte ad una forza inesorabile. Quando gli Scolastici insegnavano a ragionare, si occupavano delle ricorrenze e non degli accidenti. Sapevano benissimo che un pranzo nuziale (un “evento”) non corrisponde al normale desinare: per ciò insegnavano a non farsi trascinare in giudizi d’opulenza al cospetto d’un’abbuffata.

L’evento, in pochi spiccioli, esclude il ragionevole: e se no, ch’accidenti sarebbe? Ve l’immaginate un volto laconico di fronte all’insolito? In effetti sì, lo faceva Buster Keaton per strappare un sorriso: in altri casi è normale non cogliere il grottesco. Fa male, soprattutto alla materia pensante, rendersi conto della cristalleria che ci circonda e saperla nelle mani più improvvide. Meglio sarebbe, quando si può, eliminare l’elefante dal negozio di porcellane (“the elefant in the china shop”) ma quando la cristalleria è ormai rotta, che si fa?

Io, personalmente, mi lascio andare alla maledizione dei santi: ma poi mi passa. Mi ricordo che non c’è niente di peggio del trovarsi in balia degli eventi e, se posso, cerco solo di rimediare. Più spesso di quanto si creda, un buon rimedio è far finta di niente. Percepire i passi dell’assassino che torna a casa con il cuore infranto. Palpare l’imbarazzo della madre, che non s’aspettava quel marito, e del maggiore, che non avrebbe mai voluto quel padre. Capire che non si muoverà nessuno, anche se a tavola manca un posto. Alzarsi, col coraggio di ripristinare la regola, ed apparecchiare il ritorno. È la scena finale di A History of Violence, è la parabola del figliol prodigo.

Se un evento è, di per sé, imprevedibile non per questo è irrimediabile. Pensate, ritornando alla storia, cosa sarebbe stata l’Italia se qualcuno avesse reagito all’attentato a Togliatti. Certo, a Pallante non si dedicano le piazze ma, se l’evento storico si misurasse in base agli effetti, l’attentato a Togliatti non è mai accaduto. Dio solo sa quante cose non sono mai accadute; tenetelo presente, voi che v’apprestate a fare la Storia: anche quella con la minuscola. Se la cosa non sortirà nessun “mi piace”, se non finirete negli annali e se nessuno si ricorderà di voi, forse …
avrete fatto un buon lavoro.

Andrea Pancini
Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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