Incontri ravvicinati: intervista a Paolo Vanacore

Ho conosciuto Paolo Vanacore a Roma durante la presentazione di Achab, rivista letteraria uscita con il numero 100 dedicato a Pier Paolo Pasolini, su cui io avevo scritto un articolo. Paolo è uno scrittore, regista e autore teatrale che sta lavorando all’adattamento del “Il grande Grabski” (il titolo, come si può facilmente immaginare, è la parodia de “Il grande Gatsby” di Scott Fitzgerald, Fazi Editore) romanzo semiserio di Marco Rinaldi, scrittore ironico e raffinato nonché amico della sottoscritta da molti anni. Vado subito a cercare su internet le notizie relative al lavoro di Paolo, ne parlo con lui, e, come un coniglio che esce dal cappello, quando io dico di abitare in Casentino, viene fuori che lui è un grande conoscitore ed estimatore delle foreste e dei loro misteri. Iniziamo così una bella conversazione che poi è sfociata in questa interessante intervista.

Come è iniziata la tua passione per il teatro?  E quali sono i lavori a cui sei più legato?

Il mio amore per il teatro è nato assistendo allo spettacolo “Forza venite gente” il musical su San Francesco d’Assisi con il grande Silvio Spaccesi nella parte di Bernardone, rimasi incantato dalle luci, dalle canzoni, dagli attori. Poi mi capitò di metterlo in scena con il gruppo scout del mio quartiere, mi fu assegnata la parte di Francesco, fu una folgorazione. Parlando invece dei miei lavori cui sono più legato devo tornare agli esordi: la messa in scena di alcuni miei racconti sulle donne romane (“Donne romane, storie al margine sotto l’argine”, Edilet 2007) si trattava di storie al femminile ambientate nella periferia romana degli anni 70-80 dove ho vissuto che poi ho adattato per il teatro. Infine, ci sono altri due lavori cui sono molto legato per motivi strettamente personali e affettivi, uno è “Rosy D’Altavilla. L’amore oltre il tempo” con Carmen Di Marzo, attrice straordinaria con la quale ho instaurato poi una lunga collaborazione professionale, perché legato alle mie origini napoletane e all’argomento della mia tesi di laurea sul café chantant e il varietà, l’altro è il più recente “Bambola. La strada di Nicola” con il grande Gianni De Feo, la storia di un ragazzo che si prostituisce sullo sfondo delle canzoni più belle di Patty Pravo.

Immagino che lavorare nel mondo del teatro comporti tante fatiche ripagate però da altrettanti soddisfazioni.

Fatiche tantissime, è un lavoro in cui non puoi smettere neanche un attimo di credere in te stesso. Sia a livello narrativo che teatrale. Due mondi difficili e complessi se pensi che l’Istat a fine 2019 ha dichiarato che circa il 40% della popolazione ha letto almeno un libro l’anno (non scolastico né per uso professionale) e che solo il 14% di quel gruppo legge almeno 12 libri l’anno. Il teatro non ne parliamo: sempre l’Istat riporta un dato allarmante: quasi l’80% degli italiani dichiara di non andare a teatro, neanche una volta l’anno. I motivi sono diversi e non è il caso di parlarne ora, devo dire che nonostante tutto in questi anni di soddisfazioni me ne sono tolte parecchie, sia pubbliche che private: vedere le mie storie che prendono vita, le pubblicazioni dei libri, gli applausi del pubblico a teatro, le recensioni, i premi ma anche la mia unione civile, la fine della dipendenza dalla nicotina, la laurea in Storia del Teatro, giunta dopo innumerevoli sacrifici, l’amore.

Come e quando hai scoperto il Casentino?

Il Casentino è entrato nella mia vita in modo del tutto casuale. Nel 1999 vivevo un periodo molto difficile dal punto di vista emotivo. A Roma, a Villa Borghese, c’era una fiera sull’agriturismo italiano. Mi accorsi che il materiale cartaceo esposto nei vari stand regionali raccontava perlopiù di vere e proprie residenze di lusso con tanto di piscina e spa, altro che agriturismi. Nello stand della regione Toscana mi misi alla ricerca di un luogo tranquillo dove potermi ritemprare, una casa di campagna che mi ospitasse, un ambiente selvaggio e non laccato. L’occhio mi cadde su una pubblicazione che raccontava le meraviglie del Casentino, in quel libricino si parlava di un luogo molto isolato in cima a una collina, nel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, non distante da Arezzo. Un agriturismo vero senza corrente elettrica nelle camere, neanche una foto del posto. Scelsi senza alcuna esitazione. Caricai due libri in macchina e partii. Quel fine settimana mi ha cambiato la vita.

Quale è il tuo luogo dell’anima in queste terre boscose?

È proprio quell’agriturismo: La Casina della Burraia, non distante da Subbiano, più in alto del Castello di Valenzano. Negli ultimi chilometri che mi separavano dalla meta mi trovai immerso nel parco, una meraviglia, amore a prima vista. Un amore assolutamente ricambiato se pensiamo che ancora oggi Eliana Turati e Chiara Passalacqua sono diventate per me dei punti di riferimento, due amiche speciali con le quali ho un legame fortissimo e che all’epoca, insieme al compianto Romano Passalacqua, mi hanno letteralmente rimesso in piedi. Alla Casina è avvenuta la mia rinascita, sono tornato a sorridere, ho cantato e suonato la chitarra, ho raccontato i miei strampalati aneddoti, ho conosciuto tanta gente, ho servito ai tavoli, sparecchiato e lavato piatti, ho pianto, di commozione e di dolore. Sono diventato parte di una comunità che ancora oggi considero la mia seconda famiglia. Dalla Casina della Burraia basta mettere un piede fuori per ammirare sia d’estate che d’inverno lo spettacolo del Casentino dove la natura si esprime in tutta la sua bellezza.

Questi luoghi immagino siano fonte per te di ispirazione.

Certamente, per scrivere innanzitutto. Ma anche per leggere, riflettere. Sono luoghi in cui torno a dialogare con me stesso. In Casentino ho preso alcune delle decisioni più importanti della mia vita.

Hai mai pensato di creare uno spettacolo sulle novelle ombrose e inquietanti di Emma Perodi, scrittrice ottocentesca che ha ambientato le sue storie per l’infanzia nel buio e nella paura della povertà carbonara del Casentino (no nel senso di cospirazione) dell’epoca?

No, ma ci penserò. Potrebbe essere bello. Tra l’altro nella Casina della Burraia, diversamente dalle altre sale dell’agriturismo, all’interno delle camere da letto ancora oggi non c’è elettricità, sono obbligatorie le candele di cera che vengono fornite a tutti gli ospiti.

Sono molto curiosa di vedere a ottobre in teatro “Il grande Grabski”. È stato difficile “viaggiare” sulle ali dell’ironia di cui Marco Rinaldi è maestro? Puoi anticipare qualcosa?

Marco è stato preziosissimo durante l’elaborazione dell’adattamento teatrale perché ha intuito che il romanziere non può sottrarsi a un linguaggio completamente diverso. La durata della rappresentazione, il ritmo, i tagli più che necessari, la riscrittura di alcune parti, le integrazioni. Raramente mi è capitato di trovare un autore così disponibile. Le prove inizieranno a settembre, ma abbiamo già effettuato delle letture a tavolino e ci siamo scompisciati dal ridere. Il cast è di altissimo livello: Toni Fornari, Riccardo Bàrbera e Carmen Di Marzo, ne vedremo delle belle.

A che cosa associ la parola “Riposo”? E invece che cosa sono per te il Divertimento e la Felicità?

Tre domande impegnative: mi riposo quando torno a dialogare con me stesso, in montagna o     nei boschi. Mi diverto quando rido inaspettatamente, quando la vita mi sorprende, quando   non mi aspetto nulla e qualcosa di bello accade, quando esprimo la mia creatività. Per essere      felice mi basta guardare negli occhi il mio fedele e amato compagno Alessandro Panatteri,  musicista e compositore, che mi ha sempre sostenuto contribuendo con le sue musiche a  elevare il livello di tutti i miei spettacoli, e nostro figlio Umberto, che ci ha reso padri fieri e orgogliosi. La prima parte della mia esistenza, dal 1969 al 1999, è stata molto difficile e  complessa, devo dire che dopo è andata decisamente meglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Daniela Tani
Daniela Tani
Laureata in Lettere moderne, insegna Lingua e letteratura italiana. Ha pubblicato: L'ospite cinese, Del Bucchia Editore, 2013. Kebab per due, Autodafè, 2015. D'amore e d'altro, Alter Ego, 2017 recensito da Valerio Aiolli su Il Corriere della sera di domenica 4 agosto 2019. L'amico di lei, Smith Edizioni, 2020. Ha frequentato in varie sessioni i corsi e e le Full immersion della Scuola di scrittura Omero di Roma. Collabora alla rivista “Accademia Casentinese” “Giornale di Lettere, Arti, Scienze ed economia” con articoli riguardanti le scrittrici italiane del '900. Per “Achab” è in uscita il suo articolo su Pier Paolo Pasolini “Al cuor non si comanda”. Conduce corsi di scrittura creativa patrocinati da Enti pubblici e associazioni, in particolare Fondazione Circolo Rosselli, Comune di Pratovecchio-Stia (AR). Vive tra Firenze e le Foreste Casentinesi.

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