L’IDIOTA (di Dostoevskij)

Il sei d’Aprile, di buon mattino, il Capo di Gabinetto Britannico s’esprimeva così: “Ieri notte, su consiglio medico, mi sono recato in ospedale per dei controlli di routine in quanto ancora affetto dai sintomi del coronavirus. Sono di buon umore e resto in contatto col mio team, mentre stiamo operando coesi nella lotta contro il virus per tenere tutti al sicuro”. Diciotto ore dopo, Boris Johnson è stato ricoverato in terapia intensiva: al fine ultimo di garantirne la sopravvivenza … ed evitarne le uscite.

Boris Johnson, col beneficio della banalizzazione, è il corrispettivo britannico del nostro “cazzaro verde” che, complice una sbornia al Papeete, adesso avrebbe potuto sedere al Viminale ed inondarci di coglionate a reti unificate. Il caso ha voluto, invece, che un galantuomo si presenti regolarmente alle otto della sera mentre una donna di mestiere (Luciana Lamorgese) svolge silenziosamente il suo dovere. Giuseppe Conte, il galantuomo, è una bella sorpresa ma non è per questo che ho impugnato la penna.
L’idea generalizzata di tempo, a dire quella che sembra più interessante, coinvolge, quando va bene, le ere geologiche: l’estinzione dei dinosauri, la selezione naturale, la meccanica celeste, gli androidi impegnati nel parricidio, il primo contatto, la prima missione umana su Giove, la velocità “curvatura” e via, via discorrendo. Entro questa dimensione, che i Greci chiamavano aiòn e noi traduciamo in “era”, l’impero romano non poteva che crollare, gli uomini sono tutti mortali, e la Luna lascerà l’orbita terrestre se non verrà anticipata dalla trasformazione del Sole in “gigante rossa”. In questo tempo, che noi tributiamo alla divinità ovvero alla natura, alle “leggi di natura”, è facilissimo immaginare il destino. Le cose andranno esattamente come devono andare: se del caso, andranno sicuramente bene.
Resta pacifico che, di fronte al destino, è sostanzialmente indifferente se il dinosauro stesse brucando o faceva un riposino. Allo scoppio del Vesuvio, è balzano chiedersi se il tizio è morto raccattando i suoi averi o nell’alcova. Posto il destino, stabilita la legge di natura, tutto diventa fatale per conseguenzialità logica (per i palati fini si chiama propriamente “induzione” logica). Va bene, allora, la dimensione epocale e gli Eterni che ne determinano il corso (dall’era del “caprone” a quella dei “pesci”, per esempio, se Dio vuole!): ma alla fine dei Salmi, converrete con me, cosa regge tutta la baracca è l’Ananke, la “necessità”.
Peccato che la vita, invece, si spenda in attimi: tutt’altro che necessari. Forse è per questo che la vita è un “dono” … ma lasciamo stare l’ironia. Boris Johnson, ad esempio, credeva di dover salutare i propri cari, quando invece sono quest’ultimi che rischiano di salutare lui. “Il tempo è un bambino che gioca”, diceva l’Oscuro e, se non vi risulta un’immagine migliore, io vi propongo di visualizzare la faccia di Boris Johnson. I Greci avrebbero preferito un bambino scapigliato, detto Kairòs, ma sarebbe demodé: la faccia del Prime Minister l’avete in mente tutti.
Qualche giorno fa, il Capo di Gabinetto, predicava il difetto di “necessità” d’un’azione di governo, avversa alla pandemia; il sei Aprile era ancora sul pezzo e di “buon umore”: l’incombente domani ha avuto cura di smentirlo. Così Attilio Fontana, a stretto giro di posta, immortalato “con” o “senza” mascherina. I “sovranisti” che si rimettono alla solidarietà europea. La virologa, d’indiscussa fama locale, che si è riferita alla S.A.R.S. 2 come fosse l’influenza. I No-wax planetari che pregano per il vaccino. L’elenco coprirebbe l’intera umanità.
Tutti cretini?
Sì, senza ombra di dubbio.
Lo scompiglio d’un virus ha rivelato l’umanità per quel che è: una manica d’imbecilli. In cima alla lista, ça va sans dire, lo scrivente! Fintanto che i profeti (od i poeti, come nel mio caso) lanciano i dadi su sfondi epocali, gli va sempre bene: richiesti di misurarsi con la vita, non ne prendono una. L’attimo, che poi sarebbe il tempo in cui si decide la vita, non risparmia nessuno. L’antidoto sarebbe la vaghezza, l’inconcludenza se non proprio il silenzio: costretti a parlare, si dovrebbe spostare l’aspettativa oltre l’orizzonte della verificabilità. “La borsa tornerà a tirare”, magari non ora e non già nello spazio della vita. “L’umanità s’estinguerà”, evolvendosi, magari, nel pollo com’hanno fatto i dinosauri. “Ci sarà un secondo avvento”, visto che il primo è andato male. “L’universo è un ologramma”, quando osserveremo la singolarità nascosta oltre l’orizzonte degli eventi. L’ultima affermazione, l’avete capito, è quella che mi piace di più: è l’estrema sintesi. Avremo modo di verificare le credenze oltre l’orizzonte degli eventi: e che la vita ci risparmi il contrario!
Quando si verificano le conseguenze del comune sproloquio, iniziano i guai. Non solo parliamo a vanvera ma, costretti ad agire in ossequio all’ignoranza, all’interesse, alla rabbia ed alla frustrazione, ci comportiamo spesso di conseguenza. Il risultato, quando il tempo incalza la profezia, è passare tutti dal ragionevole all’insostenibile: ciò a dire, passare tutti da imbecilli. Nell’arco d’una vita, ne sono sicuro, ci siete passati anche voi: per l’adagio secondo il quale “homo sum, nihil umani alieno a me puto” (Terenzio).
A tutto questo c’è un antidoto ed è di vecchio conio: “agisci in modo da trattare” l’imbecillità, “sia nella tua persona sia in quella di ogni altro”, (…) “mai semplicemente come mezzo”. Il virgolettato è di Kant e, cassata l’idiozia quale obiettivo, mi sembra che suoni bene. Ci risparmierebbe, oltre alle imperscrutabili conseguenze dell’agire, l’onta dello sciacallo che pretende d’approfittarne. Saremmo tutti un po’ più Idioti, inteso Myskin, ma guadagneremmo in altezza: viste le premesse dell’umano, non ci sarebbe poi molto da perdere.
Per questo auguro a Boris Johnson, fratello nella disgrazia, di rimettersi presto.

Andrea Pancini
Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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