Noa… e il lasciarsi vivere

(Immagine di repertorio)

Ieri ci siamo svegliati nel nulla. Dal nulla non emerge nulla, è vero.

Invece da questo nulla è emerso qualcosa di molto forte e definitivo: la nostra deriva come umanità.

I giornali e i telegiornali ci hanno raccontato l’ennesima tragedia, quella di Noa, una ragazzina olandese dai tratti molto dolci ed eterei il cui nome significa “quiete che consola”.

Un nome un destino, verrebbe da dire. Eppure non possiamo accettare questa spiegazione deterministica. Noa è morta di dolore, quello interiore, quello che più di ogni altro è capace di strapparti le carni e lacerarti il cuore in maniera irreparabile.

Dopo la sua morte si sono scatenate le analisi: religiose, filosofiche, giuridiche. Certo, una spiegazione dovremmo pur darla, un giudizio tagliente dovremmo pur esprimerlo su chi ha deciso di non vivere più.

Quando si mette la penna su queste faccende si sbaglia sempre e soprattutto si scrivono sempre tante banalità. Queste questioni riguardano il senso del nostro essere qui, il valore della vita. Ma tutte le volte che qualcuno tenta di spiegarle facendo riferimento ai propri dogmi, quali essi siano, mi viene quasi un senso di smarrimento. Solo pochi, sembra, possono esprimersi in modo adeguato, solo alcuni possiedono l’autorevolezza, la scienza e il potere per farlo.

In realtà si parla di vita e di valore della stessa e tutti noi possiamo, anzi, dobbiamo parlarne. Anche con un registro più vicino al nostro cuore.

Credo nell’autodeterminazione terapeutica e nel diritto di poter disporre in anticipo anche sul nostro fine vita. Quest’ultima è un dono e come tale ne disponiamo.

A suo tempo ho vibrato per il gesto di Luca Coscioni che, come sappiamo, morì soffocato perché non volle la tracheotomia, perché rifiutò di continuare a vivere attaccato a una macchina, dimostrando che, nonostante la malattia invalidante, era un uomo libero in grado di scegliere sulla propria vita e soprattutto sulla propria morte.

Sostengo le battaglie dell’associazione a lui dedicata ma…

Ma ieri mi sono dibattuta su un “ma” grande come solo il cuore di una madre può esserlo.

Noa è stata abbandonata dai suoi simili prima ancora che da sé stessa.

Ha subito due stupri ancora bambina senza poter denunciare, raccontare ( lo ha fatto solo molto più tardi); ha iniziato un calvario fatto di mortificazione corporea che solo troppo tardi è stata in grado di affrontare con le giuste parole.

Quando penso a quel volto che mi ha interrogata attraverso la tv e sui social, mi viene in mente che in quegli occhi liquidi c’è ancora voglia di vivere. O almeno c’era, non potendo sapere a quale periodo risalga quell’immagine.

Quel volto interroga, chiama, esplora ed implora. Come ogni volto di donna e di uomo che incontriamo sul nostro cammino e che guardiamo, ma non accogliamo.

La giustizia farà il suo corso e mi interessa come cittadina. I filosofi ed i teologi faranno i loro proclami, e mi interessano come donna.

Ma adesso mi interessa solo lei: davvero non c’era più niente da fare? Una domanda che mi assilla. Forse l’essere madre di una ragazza che ha quasi l’età di Noa mi coinvolge e insieme mi sconvolge.

Sento tanta paura in questi ragazzi e ragazze. Paura del futuro, di quella cosa che non li aspetta più a braccia aperte, ma che è buio, freddo, minaccioso… vuoto.

Chi ha tolto da quel “laggiù”, da quell’ altrove un senso e il sole? Forse dovremmo interrogarci su questo noi “grandi”.

Quello che so è che quando mi trovo in mezzo ai bambini per le mie attività di filosofia e li esorto a farsi le domande, le loro bocche rimangono cucite, e il loro occhi rimangono fissi a terra… senza guardare avanti come anche la prossemica della situazione specifica suggerirebbe. E se in tutto questo c’è una colpa ( ammesso che esista e abbia un senso parlarne), quella ci appartiene. Quel lasciarsi morire è una scelta, come il lasciarsi vivere nonostante tutto. Forse noi “grandi” dovremmo iniziare a lavorare perché entrambi questi modi di essere dei nostri ragazzi si trasformino in voglia di esserci e di costruire il proprio futuro con un senso di compassione gli uni verso gli altri, di rispetto, di aiuto e solidarietà. Senza buonismo, ma per il solo motivo che purtroppo in quel nulla che abbiamo costruito, ci siamo circondati da troppe “cose” e da pochi volti.

Rossana Farini