Poppi, vivere in una RSA ai tempi del Covid: la storia di Giuseppe Allori

Ho conosciuto Giuseppe Allori due anni fa proprio in occasione di un’altra intervista che facemmo per questa testata. Da allora io e Giuseppe siamo diventati amici. Sì, Giuseppe è un mio amico. Credo di poterlo dire senza paura di essere smentito perché è proprio così che io e lui ci salutiamo nei nostri scambi di e-mail: Ciao amico mio! E lo scrivo sempre con il punto esclamativo perché di questa amicizia sono molto orgoglioso. E se avrete la pazienza di leggere questo articolo vorrei anche raccontarvi il perché. Giuseppe ha 53 anni, è originario di Firenze e dal 2005, da quando di anni ne aveva 38, è affetto da SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). Da 12 anni, inoltre, è ospite della RSA di Certomondo (Poppi) e, costretto dalla sua malattia a restare immobile in un letto, comunica solo attraverso gli occhi. Giuseppe ha un computer che lui stesso, in collaborazione con alcuni tecnici specializzati, ha provveduto ad ideare e assemblare. Questo pc è dotato di un programma speciale che gli permette di scrivere guardando le lettere che gli appaiono a monitor. Un altoparlante, poi, dà voce ai suoi pensieri. In più, sempre attraverso il suo computer, Giuseppe gestisce tutta la sua vita: la televisione, lo stereo, le email e tutto quello di cui ha bisogno nelle sue giornate. Per ovvi motivi, Giuseppe non lascia mai la sua stanzetta dell’Rsa di Certomondo (l’ha fatto solo in un paio di occasioni per una festa che alcuni suoi amici speciali avevano organizzato per lui) e vede il mondo attraverso lo schermo di un computer o di una televisione. Per altrettanti ovvi motivi, gli unici momenti in cui può interagire con esseri umani che non facciano parte del personale dell’Rsa sono quelli durante le visite dei parenti e degli amici. Prima dell’emergenza sanitaria che ci ha colpiti, anch’io, ogni tanto, andavo a trovarlo, ma confesso di averlo fatto meno di quanto avrei dovuto, meno di quanto io stesso ne avrei avuto bisogno e di questo, oggi, mi pento. Purtroppo, da quando il maledetto Covid-19 ha stravolto le nostre vite, non è più possibile andare a trovare gli ospiti delle case di riposo e questo è grande motivo di rammarico per me, che sarei dovuto andarci più spesso, e per tutti gli ospiti che devono rinunciare a qualsiasi contatto umano che non sia con gli operatori della struttura. E allora io e Giuseppe ci scriviamo e ci raccontiamo le cose attraverso le e-mail. Cerco di farlo con parsimonia, senza essere troppo invasivo perché un conto è battere con le dita su una tastiera, un conto è scrivere con gli occhi. Anche se, avendolo visto all’opera di persona, posso confermare che l’abilità “dattilografa” di Giuseppe è strabiliante. Ma ciò che è ancora più stupefacente è lo spirito di questo ragazzo, la forza di volontà, la capacità di non lamentarsi della sua condizione e la tenacia con cui affronta la vita. Soprattutto in questo momento in cui è privato di una delle cose più importanti: il contatto umano. Nonostante ciò, infatti, nonostante la sua malattia e l’aggiunta dell’isolamento, Giuseppe è un inguaribile ottimista e quando gli chiedi come va, come si sente, quali sono i suoi pensieri, risponde sempre in maniera positiva e propositiva, guardando a quello che ha e non a quello che avrebbe potuto avere. Pensando a quello che farà il giorno dopo e non a quello che avrebbe potuto fare. Più volte, durante le nostre chiacchierate, mi ha detto come in fin dei conti ci sono tante persone che stanno peggio di lui e che non è il caso di lamentarsi più di tanto della sua condizione, ma di guardare semplicemente avanti. Per questo motivo, per me, conoscere Giuseppe non ha significato solamente avere un nuovo amico, ma è stata anche l’opportunità di vedere il mondo in modo diverso, con occhi diversi. Un’amicizia che mi ha dato e continuerà a darmi più di quanto il mio stesso amico possa immaginare. E siccome non glielo avevo ancora detto, approfitto di queste righe per farlo. Chiudo questa parentesi personale e vengo al motivo di questo articolo: raccontare come si vive in una casa di riposo ai tempi del Covid. Ecco cosa mi ha raccontato Giuseppe.

Giuseppe, come trascorri le tue giornate?

Fortunatamente ho molti interessi che mi permettono di tenermi occupato e di mantenermi attivo. Le principali attività sono i continui aggiornamenti che i molti programmi installati nel computer richiedono e il controllo e l’archiviazione dei miei documenti personali (Inps, Banca, ordini internet, ecc). A questo, poi, devo aggiungere la lettura delle newsletters, le e-mail, i contatti con amici, le letture varie e, ovviamente, i programmi Tv (documentari, serie action e spy). In più, ho una considerevole collezione di dvd (circa 800) e riesco a concedermi un film ogni tanto. In generale, comunque, io come chiunque abbia la necessaria lucidità, trascorriamo il tempo facendo le medesime cose di tutti i giorni; poi, per la maggior parte degli ospiti, purtroppo, è anche peggio venendo a mancare le capacità cognitive.

La pandemia, purtroppo, ha inciso molto sulla tua vita. Ce ne vuoi parlare?

Parti dal presupposto che la vita all’interno di una struttura è tutto fuorché piacevole; come se non fosse sufficiente il dovere convivere con i problemi di una patologia complicata, è necessario adattarsi anche alla moltitudine di persone che vi lavorano e che hanno contatti con me. Già in periodi di normalità, vivere all’interno di una struttura sanitaria è comunque piuttosto difficile; da questo capirai l’importanza di una situazione ottimale, esente da disagi, con la possibilità di ricevere visite ed il ruolo che assumono familiari, parenti, amici, ruolo che definirei essenziale sotto molteplici aspetti. Beh, questo sta venendo a mancare oramai da diversi mesi e tutto ciò, oltre che deprimente, è anche molto irritante. Spesso l’insofferenza si fa sentire e conseguentemente il nervosismo aumenta; piuttosto normale considerato il contesto attuale. Fa male vivere in questo stato di isolamento, in quello che a tutti gli effetti è divenuto essere un regime detentivo, lontani dai propri affetti e dalle consuete abitudini che ci avvicinavano ad una vita quanto più normale e spensierata possibile.

Quella di isolarvi dal resto del mondo credi sia stata una decisione giusta?

La decisione di isolarci con la motivazione di dover tutelare la salute di anziani e disabili è semplicemente una scusa per scaricare ogni responsabilità. Il fatto è questo: se, come comunicato da ISS e Ministero della salute, i dispositivi di protezione sono efficaci, allora perché impedirci di incontrare le persone a noi care? E durante i mesi precedenti, seppur con le protezioni e le ovvie precauzioni, quale è il senso nel limitare un incontro a soli 20 minuti! Questo è lo stato d’animo con il quale devo convivere quotidianamente: di perenne arrabbiatura nei confronti di chi sta creando, perlomeno a me, maggiore disagio di quanto se ne possa avere con patologia e ambiente; purtroppo questi sono fattori che vanno a sommarsi e non ad escludersi tra sé.

Comprendo che vi sia stato chiesto un grande sacrificio, ma non credi che politici e amministratori l’abbiano fatto per voi, per darvi qualche chances in più rispetto a questo maledetto virus?

Certe persone dovrebbero anche domandarsi quale è il limite oltre al quale, per molti anziani con piene capacità cognitive, isolamento e solitudine possono fare il medesimo danno di un virus; che io sappia, la trasmissione all’interno delle Rsa non è avvenuta da familiari e parenti opportunamente protetti e distanziati, bensì dagli stessi operatori che quotidianamente assistono gli ospiti. Tanto più evidente adesso, che in totale isolamento sono diversi i focolai manifestatisi nelle varie strutture, compresa, purtroppo, la nostra.

Esistono dei tamponi rapidi che hanno una buona attendibilità. Un’idea poteva essere quella di sottoporre i visitatori (almeno i parenti più vicini) a questo tipo di controllo prima di farli accedere alla struttura e così non privarvi del loro affetto. Sei d’accordo?

In merito ai tamponi rapidi al momento dell’accesso, sono totalmente d’accordo con l’utilizzo di tale metodo; tuttavia, pur essendo in commercio a prezzi irrisori, sono convinto che poco si presti alla politica di una cooperativa (che è quella che gestisce attualmente la struttura, ndr.) Al limite potrebbero adottare un metodo inverso: la struttura dovrebbe individuare un kit affidabile e attendibile da fare acquistare a familiari, parenti, amici e dire loro di presentarsi all’ingresso muniti di tale prodotto con il quale effettueranno il test.

Per quanto riguarda il fatto che, nonostante tutto, il virus sia riuscito ad entrare nella vostra struttura (stiamo parlando di moltissimi casi tra gli ospiti e gli operatori) pensi che ci siano delle responsabilità? Forse si poteva fare di più a livello di controllo?

Argomento delicato ed è per questo che spero venga fatta chiarezza su quanto accaduto; è necessario che siano accertate le responsabilità e conseguentemente qualcuno risponda del proprio operato. Si tratta di un atto dovuto nel rispetto di noi degenti, dei familiari-parenti-amici, ma in particolare per chi, a causa dell’altrui negligenza, è venuto a mancare e per coloro che si sono trovati in condizioni più o meno gravi per essere stati contagiati e non sufficientemente protetti. Per la nostra sicurezza ci siamo ritrovati nella triste, deprimente condizione di non potere incontrare i nostri affetti a fronte della chiusura del centro ai visitatori, quando poi il risultato che ne è scaturito è sotto gli occhi di tutti! Se questa è la tutela, salvaguardia, della salute e del benessere di un ospite, visto l’esito, sono dell’avviso che qualcuno abbia commesso gravi errori. Riagganciandomi al passaggio precedente, ritengo plausibile ed ipotizzabile attribuire il tutto a grave negligenza, imperizia, imprudenza e per questo, da persona che vive la realtà nella quale si trova, ho una mia opinione per ciò che concerne le responsabilità; voglio altresì precisare che, non essendo né giudice né giuria, non punto il dito contro alcuno, tuttavia, l’elaborato del mio pensiero mi porta a fare una comprensibile e breve considerazione, evidenziando quanto segue: l’onere della gestione del complesso e la relativa autonomia che ne deriva, non è un segreto, è in capo alla cooperativa Elleuno, la quale, ovviamente, si avvale di un responsabile che coordina l’attività svolta dalla struttura; la parte riguardante la vigilanza è di competenza di sindaco e amministrazione comunale.

Riepilogando: centro chiuso + ospiti che non hanno contatti con l’esterno + gestione in mano ad una cooperativa con attività coordinata da un proprio responsabile + vigilanza/controllo di competenza di sindaco e amministrazione comunale + domanda: come è potuto scoppiare un focolaio di tali dimensioni?

Questo è il quadro dei dati oggettivi; accertare cause e colpe di tutto ciò, sarà eventualmente compito di chi istituzionalmente preposto per tale mansione.

Certo è che, per quanto mi riguarda, in funzione di come stiamo vivendo e dei sacrifici fatti, è inammissibile e ingiustificabile dovere subire situazioni di ulteriore disagio; voglio fare un semplice appunto: noi non ci troviamo in una struttura per divertimento, per svago o per il piacere di esserci, bensì perché la vita ci ha riservato un’altra sorte e la nostra permanenza non è a titolo gratuito, ma il corrispettivo dei denari che mensilmente versiamo.
Senza se e senza ma, mi sento di assolvere il personale tutto; operando già in condizioni difficili ed essendo loro stessi colpiti dal virus, non hanno fatto altro che applicare le disposizioni ricevute dalla loro coordinatrice e con gli strumenti a loro forniti; quindi, anche nel caso di eventuali negligenze da parte degli operatori, comunque sempre da verificare, si paleserebbe una preoccupante mancanza di controllo da parte di direzione e responsabile interno della sicurezza. In ogni caso, è mia convinzione, che l’attuale contesto abbia, ancora una volta, messo in luce, sulla base di quanto sto vedendo e seppur nella difficoltà di ciò che viene impropriamente definito emergenza (dopo 10 mesi non mi sembra più il caso di parlare di stato di emergenza e di forza maggiore), l’impreparazione, la disorganizzazione, l’inadeguatezza, di una gestione non all’altezza della situazione.

Una nota in chiusura: è bene che chiunque sia messo al corrente che nei giorni 30 e 31 dicembre, la zona delimitata e adibita ad area Covid, è stata, dalla responsabile, deliberatamente lasciata sprovvista di personale infermieristico durante la notte. L’intenzione (come normalmente avviene) era quella di fare intervenire, in caso di bisogno, l’infermiera di turno in questa ala, con tutto ciò che ne consegue in termini di sicurezza e di interventi per le emergenze. Regolare? Irregolare e da irresponsabili? Vedremo!

Quanto descritto è stato regolarmente verbalizzato nell’intervento dei Carabinieri chiamati ad accertare detta situazione alle ore 23 del 31/12.

Ultimo appunto e saluto; Mancano i servizi di podologa e parrucchiera. Io stesso sto sollecitando da circa un mese l’intervento della podologa.

Giuseppe ha le idee molto chiare e sa anche metterle nero su bianco in perfetto italiano. Tanto corretto e chiaro, il suo linguaggio, che potrebbe tranquillamente scrivere al posto mio. La speranza è che la prossima volta i suoi pensieri possa dirmeli di persona, sempre attraverso un computer, ma di persona. Vorrà dire che l’emergenza sanitaria è passata e siamo tornati a vivere, ad incontrarci e a ristabilire quei contatti umani che tanto ci mancano. 

Christian Bigiarini - Direttore Responsabile
Christian Bigiarini - Direttore Responsabile
Christian Bigiarini è nato a Roma nel 1971, ma scrive a Ponte a Poppi, in Casentino, dove vive. Sposato con Veronica, babbo di Umberto, direttore del periodico Casentinopiù dal 2013, è anche “scrittore”, giornalista, tabaccaio, “ciclista”, "padelista" e “tennista”: quasi tutto rigorosamente tra virgolette.

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