Sul ponte sventola bandiera bianca

Di Andrea Pancini

Una sera di Dicembre del 2017, da una finestra affacciata sui lungarni fiorentini, appare lo stendardo della Kaiserliche Marine. Se non fosse stato un affaccio della caserma Baldissera, sede del Comando del VI battaglione “Toscana” dell’Arma dei Carabinieri, la questione sarebbe stata chiosata come una stupidaggine. Se il fatto non avesse seguito quello, ben più grave e circostanziato, dello stupro perpetuato ai danni di due cittadine americane da parte di due agenti in servizio a Firenze, la notizia avrebbe preso la via delle pagine culturali: quelle entro le quali s’indaga i tempi che corrono.

Adesso, che il colonnello Raffaele Fedocci (incaricato del ricorso gerarchico) ha annullato la sanzione (pari a tre giorni di consegna, Sic!) comminata al giovane militare imputato del fatto, la questione può prendere la giusta dimensione: la superficialità d’uno studente di storia iscritto alla Sapienza. Il dispositivo del Colonnello Fedocci, infatti, ha pienamente accolto la versione della difesa, secondo la quale il carabiniere-studente di storia che aveva fissato la bandiera in caserma, l’avrebbe fatto per “passione” legata al periodo storico in questione: senza sapere che lo stendardo è utilizzato dai gruppi neonazisti di tutta Europa.
In effetti, il vessillo della Kaiserliche Marine è appannaggio dell’estrema destra Europea per un sacco di buone ragioni che, ad un “appassionato” del periodo storico in questione, non possono sfuggire: vada pure per lo studente della Sapienza ma non per me.
Prima di tutto, lo sventolare della Kaiserliche Marine Reichskriegsflagge (lo stendardo da guerra della flotta Tedesca ai tempi del Kaiser Guglielmo) non si riferisce, di certo, all’ammutinamento di Kiel che segnò la fine del Secondo Reich per avanzata stupidità dell’apparato al comando. La notte del 29 Ottobre del 1918, l’alto comando Tedesco impartì l’ordine di far salpare la flotta di alto mare, fino ad allora e per sempre invicta, per un’ultima, insensata, strage nel Canale della Manica: tratto di mare dal quale, anche volendolo, la Royal Marine non si sarebbe mai disimpegnata. Dopo la Marna, Verdun e la Kaiserschlacht (la “battaglia per l’Imperatore”), il volo delle Walküre Wagneriane, questa volta, non trovò l’epilogo previsto dalla resistenza alleata: i marinai alla fonda nel porto di Kiel decisero di salvarsi da soli, visto che il buon Dio non provvedeva ed il Kaiser era impegnato altrove (segnatamente nel quartier generale dell’esercito Tedesco in Olanda, dalla quale non tornerà mai più).
Fatto sta che il 4 Novembre del 1918, la Kaiserliche Marine era saldamente nelle mani di 40.000 marinai, soldati e lavoratori “ribelli”, organizzati in Consigli: non finì come a San Pietroburgo per un soffio o, forse, perché Gustav Noske non era Lev Trockij. Con l’ammutinamento di Kiel, comunque, la guerra poteva intendersi risolta e così fu: resa incondizionata degli imperi centrali, Conferenza di Parigi ed esilio del Kaiser come “criminale di guerra”. Sul campo, due vittime illustri: la ricchezza Tedesca (seconda economia al mondo, ad un passo dall’Inghilterra, nel 1914) e l’orgoglio nazionale, qualunque cosa questo sia. Agli ammutinati di Kiel, che chiedevano frieden und brot (pace e pane), fu concessa la prima ma non il secondo; seminando tutto ciò che questo comporta: la fame è il giusto companatico dell’orgoglio.
Così, l’orgoglio nazionale ferito, prese a sventolare coi suoi simboli (l’aquila imperiale, la croce di ferro, i colori del Reich, nero, bianco e rosso, ripresi in seguito nella croce uncinata) e la sua retorica. La retorica che prende a circolare è quella di collegare la frustrazione del “popolo”, Tedesco e sconfitto in maniera inspiegabile (non un soldato alleato aveva messo piede nel territorio del Reich), alla teoria del complotto demo-pluto-giudaico-comunista-massonico: qui così, in Italia ripreso dalla “vittoria mutilata” e negli Stati Uniti del ’29 travestito da “banksters”. Ma qui, vale a dire nella Repubblica di Weimar del dopoguerra, la Kaiserliche Marine Reichskriegsflagge è stata lo stendardo dei Freikorps “di ronda” in Germania per stabilire l’ordine. In soldoni, un corpo paramilitare volontario, reclutato tra i veterani della Grande Guerra, incaricato dell’antisommossa Comunista. Ai Freikorps si devono operazioni di polizia, come l’arresto degli Spartachisti e la repressione della Repubblica Sovietica Bavarese (Sic!), qualche atto di guerra nelle Repubbliche Baltiche, un tentato golpe ai danni della Repubblica di Weimar (il c.d. Putsch di Kapp) e, naturalmente, il crogiuolo delle S.A. (Sturmabteilung) di Röhm riassemblate, dopo l’assassinio del gerarca ad opera del “capo”, nelle S.S. (Schutzstaffel) di Himmler.
Questa, ad oggi, è la storia della Kaiserliche Marine Reichskriegsflagge e, mi dispiace per lo studente di storia della Sapienza, non ce ne sono altre. Vederla sventolare da una caserma, occorre ammetterlo, potrebbe risultare inquietante ma il giudizio di merito del Colonnello Fedocci, che pone fine alla vicenda, dovrebbe suonare rassicurante: il ragazzo s’è scusato, era ignaro dell’uso abominevole che qualcun altro ne ha fatto ed ha promesso di non farlo più. Del corso legale assunto dalla faccenda non c’è che esser soddisfatti: speriamo solo che il ragazzo non si laurei in storia. Questo sì, che sarebbe infamante coi tempi che corrono.

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