Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare la vita. Ci hanno costretti a spararle contro. #QuellidellaKarin

A Subbiano un luogo di testimonianza. Perchè la memoria non sia soltanto un esercizio di stile del 25 Aprile. Ma la si pratichi 365 giorni l’anno.

La linea Karin oggi è un segno. Un tratto colorato su una carta geografica che, con poca efficacia forse, rappresenta uno degli ultimi tentativi di sbarramento che hanno segnato il territorio del basso Casentino nella Seconda Guerra Mondiale. Una linea difensiva tedesca, l’ultima, a protezione della Linea Gotica, costituita unicamente da un dispiegamento di truppe senza costruzione di opere difensive. Scopo: ritardare l’avanzata degli alleati.

Roba di un tempo ormai passato. Quelli della Karin, invece, sono ragazzi di questo tempo.  Ci piace parlare di loro quando gli echi delle celebrazioni del 25 Aprile sono oramai spenti. Del resto noi stessi li abbiamo conosciuti in un giorno qualunque, in un mese qualunque. E accogliendo il loro invito a varcare la soglia della piccolissima area espositiva, è apparso subito tutto chiaro: un invito ad un viaggio nel tempo e nelle emozioni. Questo era quello che ci veniva proposto. Entrare nel piccolo museo di Subbiano, visitare la collezione di oggetti che l’Associazione ha raccolto nel tempo, è stato come accarezzare uno ad uno i volti delle centinaia di giovani uomini che, combattendo nelle nostre montagne, da alleati o da nemici, da resistenti o da invasori, per passione o per dovere, hanno lasciato qui, insieme con le loro vite, qualunque futuro avessero cominciato a sognare.

Una postazione di comando inglese perfettamente ricostruita, una stanza medica per le operazioni di primo soccorso, tanti effetti personali: elmi, zaini, rasoi da barba, scatole di caffè, gomme da masticare, medaglie, scarponi, valigie, maschere antigas, lanterne, coperte, lettere a persone care mai recapitate, foto di fidanzate, madri, sorelle.

C’è tutto qui. Tutto quello che per mesi, per anni forse, ha costituito l’unico, l’ultimo, universo di queste giovani vite. Tutto il materiale che nel tempo questa  associazione (che conta una ventina di iscritti  recuperanti ndr), ha ritrovato, è esposto con cura e con grande rispetto. Insieme ai tanti reperti donati dalle persone, o affidati a quelli della Karin perché, custodendoli , ne tramandassero la memoria.

Rudi ci guida in questo viaggio nel tempo e nello spazio (ridottissimo) della mostra, citando puntualmente episodi storici, eventi locali. Ci ricorda che gli inglesi sfondarono il fronte in due punti: presso il Poggio Grillo e la zona di Montegiovi. E magicamente in questo piccolo luogo si aprono scenari vastissimi. Di una portata emotiva eccezionale. Potere degli oggetti. Oggetti di uso comune  che assumono un valore quasi sacrale  quando restano l’unico flebile legame con una vita normale.Potere degli odori. L’odore della terra mescolato a quello del ferro, della polvere da sparo. Potere dei rumori. Il suono metallico sordo delle armi, delle marmitte, delle scarpe chiodate. Potere del tatto. La cruda trama dei tessuti, la fredda trasparenza del vetro delle siringhe da campo. Tutto qui spinge a toccare con mano una storia della quale si parla ancora molto,  ma che spesso non è stata compresa nel profondo. Le parole non aiutano troppo qui. Soprattutto quando nell’osservare i dettagli, accogliamo l’invito al silenzio. Un silenzio irreale nel quale ci sembra quasi di sentirlo, adesso,  il rumore della guerra.

E sta tutto qui a nostro avviso il paradosso di questo luogo: questa  rassegna di oggetti che l’Associazione ha ritrovato in numerose e appassionate campagne di scavo, nel testimoniare la distruzione, il dolore, la sofferenza, la morte, rappresenta forse il più efficace grande inno alla vita. E la condanna della guerra come strumento di risoluzione di qualunque tipo di crisi.

“La scelta di mettere tutto insieme, reperti americani, inglesi , tedeschi, non è casuale – ci spiega la nostra guida – perchè nei fatti orribili di quelle giornate noi non vediamo vincitori e vinti, ma soltanto giovani uomini, vite spezzate che in queste montagne hanno lasciato sogni, speranze, illusioni”.

Non troviamo nessuna enfasi di parte qui. Nessuna scelta o scala di rappresentazione che possa ricondursi ad una presa di posizione.

E la scelta del nostro incipit, che cita Remarque (riferito alla Prima guerra mondiale ndr), non appaia dunque anacronistica o casuale: qui più che altrove infatti, la guerra, questa grande tragedia collettiva ci appare rappresentata come un grande teatro. Fuori dal tempo e dallo spazio, fuori dalle cronache, dagli schemi delle ragioni o dei torti, fuori dalle logiche dei vinti e dei vincitori, fuori da tutto e sopra tutto mette in scena un dramma universale che rende tutti, nessuno escluso, drammaticamente uguali. Da vedere.

Orario Museo

Orario Apertura Museo: Sabato dalle 15:00 – 19:00

Ingresso libero

Contatti : Associazione Quelli Della Karin
Via Roma 8 – 52010 Subbiano (AR) – C.F. 92084110516
www.lineakarin.com | info.linea.karin@gmail.com

Per contatti telefonici: +39 366 4072766
Per informazioni: info.linea.karin@gmail.com

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Roberta Fabbrini
Roberta Fabbrini
Roberta Fabbrini, nata a Bibbiena (AR), (ma cresciuta a Cetica ndr) vive e lavora in Casentino, dove fin dal 1996 svolge la libera professione di Architetto. Appassionata di Arte, Architettura e Paesaggio, e di Recupero del patrimonio storico, collabora stabilmente con Casentinopiù fin dal 2010, tenendo una sua rubrica dal titolo Architettura & dintorni. Appassionata verso tutto ciò che riguarda il Casentino e i casentinesi , scrittrice sempre per passione, si è scoperta da poco tempo anche amante dell'escursionismo naturalistico e del trekking. E della buona tavola. Ma questo da sempre. Tutti settori che rendono il Casentino la sua terra ideale.

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