Il malinteso

Muovendo dall’assunto che l’uomo non raglia (non per forza), né “squittisce” (non sempre), ma parla: quando tratta la Comunità Europea, che cosa intende?

Liquidiamo “comunità” in due parole ed entriamo, rapidamente, in Europa. La comunità è un fenomeno umano, caduco ed impalpabile, entro il quale gl’individui s’organizzano in nome di qualcosa: una qualunque cosa fraintendibile. Le comunità umane, nei minimi termini, sono tutte dei malintesi. Posizione stravagante, direte voi, ma non più di tanto: quando dichiarate il vostro amore, cos’intendete voi e cosa, invece, intende il prossimo? Qualunque cosa vogliate dire, lato senso, è l’espressione di un certo disagio: un qualche sbilanciamento dal vostro interesse individuale. L’umanità, ciò a dire il passo prospiciente l’individuo, da sempre procede così: a volte rovinandosi.
La tesi, di ciò che segue, è che la “comunità” Europea non faccia eccezione: vale a dire che si tratti di un equivoco. Un malinteso di un qualche genere che, in un modo o nell’altro, ci porterà tutti dove non vorremmo andare.
Il padre dell’Europa, riconosciuto dall’omonimo premio (il Karlspreis conferito ad Aquisgrana), è Carlo Magno. Carlo Magno è un Germanico, signore della guerra, nipote d’un maggiordomo, “unto” da Dio e forte di un popolo eletto: i “valorosi” (Franchi). I Franchi, che Carlo eredita dal nonno, si reggono su un patto di vassallaggio (la Legge Salica) e sull’albero di natale. Vada per la Legge Salica ma l’albero di natale non ve l’aspettavate.
Ebbene, l’albero di natale fu inventato da Bonifatio Windfried (San Bonifacio) come strumento di conversione dei Germani voluto da Carlo “spacca tutto”: Martello, in tal senso. Ai Germani veniva esposto un abete costellato di candeline per rappresentare la discesa dello spirito in terra (la natività): rassicurandoli, in fondo, che il Messia poteva benissimo essere figlio di Thor. La conversione dei Germani, al maggiordomo dei re Merovingi (altro che Re!), fece comodo per soppiantare i Re taumaturghi (quelli di Bloch) col primo “unto” dal Signore di Germania: il figlio Pipino, voluto da Dio ed investito da Papa Zaccaria.
L’ambizione di Carlo è l’erede di questa struttura che lo precede e ne giustifica le campagne di conquista, consumate ai danni degli altri Germani: i Longobardi, fastidiosi al vescovo di Roma; “tutti gli uomini” (alles mensch da cui Alemanni) pagani ancorché fratelli nel “valore” (NDR: il “valore” che i Germano-Franchi si tributano nella Legge Salica è di aver “scosso combattendo (…) il durissimo giogo dei Romani”); i Visigoti rimasti esclusi da Al-Andalus ed asserragliati a Barcellona.
In spiccioli, l’integrazione Europea di Carlo Magno si risolve nel progetto egemonico di un conquistatore che raccoglie i Germani sotto l’altare di Pietro.
Per tutto il medioevo, la musica non cambia: quando si dice Europa s’intende Impero ed è pleonastico aggiungere Latino, in termini di culto. Poi, con la Riforma, la geometria d’Europa cambia. L’asse di rotazione dell’Impero si conferma negli Asburgo che, da Carlo V a Ferdinando II, continuano a perseguire l’Unione Europea sotto la cupola di San Pietro: ma intanto è sorta l”altra Europa”. L’altra Europa, all’idea d’Europa, non guarda per niente: l’esatto contrario. La Riforma, sostenendo la Libertà di culto, innesca la disintegrazione Europea che, muovendo dal principio cuius regio eius religio (NDR: secondo il quale i sudditi dovevano seguire la confessione del re), finisce per eleggersi il monarca della Glorious Revolution. Questa storia veleggia per altre sponde ma il matrimonio fra Europa e Libertà, intanto, si è consumato e, data la Libertà, alla fine si presenta sempre un liberatore.
Il primo dei fortunati liberatori d’Europa è stato Napoleone Bonaparte. Napoleone, a torto, non si registra fra i padri d’Europa ma, fosse per questo, non risulta neppure Agerone. Ciò non di meno, Napoleone, guarda all’Europa in termini di catechesi ed Impero: né più né meno di Carlo Magno e degli Asburgo. Viene dal Mediterraneo, è vero, ma finisce per razzolare fra la Loira, il Rodano ed il Reno: là, dov’è nata l’Europa. Di più: Napoleone, di questa terra, vuol farne una sola. Gl’ingredienti dell’Europa, se si aggiunge anche la Libertà, ci sono tutti: eppure manca qualcosa. Napoleone, nelle “potenze” Europee, trova il nemico e negli “europei” le forze della conservazione: come fossero i Cattolici agli occhi dei Protestanti. Napoleone, guardando all’Europa, ha in mente il cortile della Francia e, se avesse compiuto il suo progetto, si sarebbe espresso così: “finalmente, l’Europa, parla Francese”. Napoleone non l’ha mai detto ma Volker Kauder, braccio destro di Angela Merkel e segretario della CDU, sì: “finalmente, l’Europa, parla Tedesco”.
Comunque sia, l’Unione Europea che Napoleone aveva in mente è durata un batter d’ali: il tempo d’una chanson de geste con la quale faranno i conti i posteri. Magari non l’avete capito ma il malinteso che vado provando è tutto qui: l’Europa è un fantasma. L’Europa è la narrazione del padre d’Amleto che, benché sia stato, non può più Essere se non per la determinazione del figlio: che si conclude ad agire per il peggio! Fra i fortunati “liberatori” d’Europa, non a caso, s’iscrive a pieno titolo Adolf Hitler: quello del Reich millenario e della propaganda “europeista”, che voleva i Cosacchi a San Pietro (NDR: mito dell’800 ascrivibile a tal suor Rosa Colomba Asdente: mistica e, ipso facto, voce oracolare) ed i Sovietici con gli occhi a mandorla. Com’è finita si sa già.
Per fortuna che siamo stati liberati.
In effetti, la Comunità Europea come noi la conosciamo, è il corrispettivo politico del Patto Atlantico: se date un’occhiata all’allargamento del secondo troverete le direttrici della prima. Lo spaesamento che tutti, indistintamente, provano in Europa si riduce allo slittamento della Cortina di Ferro. Ferma per 40 anni sul Carso, dagli anni novanta ha preso a muoversi verso est: prima sulla Vistola e di recente sul Dnepr. Da qualche anno si segnala sull’Isso così, magari, dalla retorica di Carlo approderemo a quella di Alessandro Magno! Comunque sia, il c.d. allargamento dell’Europa dei 12 (oggi 28!), che insiste a sventolare e nessuno sa perché, ha rivelato i piedi d’argilla d’una “comunità” che si è risolta nella convivenza forzata di economie eterogenee, esperienze storiche distanti, lingue irrisolvibili e culti inconciliabili.
Non so come andrà a finire, non ho doti oracolari, ma nel mio piccolo basta già liberasi d’un malinteso: che ci sta dirottando tutti…
molto lontano da casa.

Andrea Pancini
Andrea Pancini
Andrea Pancini è un pettegolezzo che qualcuno ha messo in giro. I ben informati sostengono si tratti d’uno scrittore, in concorso al Premio Campiello 2017. Sembra s’interessi a quello che la gente dimentica: vane speranze, amori desolati, eroi vigliacchi, dolori addominali e varia umanità. C’è chi dice che, prima, sia stato qualcos’altro ma che, d’allora, vaghi la notte al chiarore d’una sigaretta: sempre l’ultima. Ignorato dai più, di lui si sa poco se non l’eco di buone letture: Chanel, Versace, Armani. Ad oggi, si sussurra, viva spiaggiato sullo Stretto di Scilla.

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