Le difficoltà di riassumere la storia senza esser imprecisi e presi (bipartisan) per la collotta

Di Luca Grisolini

Alberto Angela non ha sproloquiato, o per lo meno non lo ha fatto del tutto, quando sabato sera, davanti a 3,5 milioni di spettatori, ha affermato: «Nel caso della Russia di Stalin prima dello scoppio della guerra erano proprio i russi a consegnare ai tedeschi, ai nazisti, migliaia e migliaia di ebrei in omaggio a un accordo, che la Germania e la Russia avevano fatto, l’accordo Molotov-Ribbentrop che aveva stabilito una specie di pace tra le due nazioni»

In effetti è documentato che in seguito agli accordi del Patto Molotov-Ribbentrop ci fu effettivamente una ri-consegna a Hitler di prigionieri tedeschi “ospitati” nei gulag, principalmente ebrei e comunisti teutonici. Da dove nasca il “migliaia e migliaia” non lo so, ma una cosa è certa. Esiste una fonte altamente accreditata che dimostra come per lo meno alcune centinaia di ebrei furono consegnati, unitamente ad altri comunisti “pericolosi oppressori” già incarcerati, dall’NKVD alla Gestapo.

Questa fonte si chiama Margarete Bauber Neumann, ex deputata del Partito Comunista Tedesco riparata in URSS nel 1935 a Mosca insieme al secondo marito Heinz Neumann, membro del buro del KPD e collaboratore del Comintern fatto sopprimere nel 1937 da Stalin.
E’ questa donna a raccontare l’epopea propria e di altri ex ospiti dell’Hotel Lux di Mosca, tutti comunisti espatriati ben presto diventati temuti da Stalin e dunque imprigionati, come lei, nei gulag quali “soggetti socialmente pericolosi”. Nel 1940, unitamente ad un altro migliaio di persone tra comunisti e ebrei di origini tedesca, fu consegnata a Brest Litovsk ai tedeschi, che la imprigionarono per cinque anni a Revensbruck. Racconterà questa esperienza in un libro dal titolo emblematico uscito nel 1948: “Prigioniera di Stalin e Hitler”.

Ora, che l’URSS avesse, in questi anni, una doppia faccia sulla questione ebraica è di fatto tangibile. Basti pensare al ruolo avuto dagli ebrei nella rivoluzione russa e nella costruzione della macchina dei gulag. Genrikh Yagoda, primo fondatore dell’NKVD era ebreo, così come lo erano, nel 1934, circa il 35% degli alti funzionari degli apparati di sicurezza dell’Unione Sovietica. Molti dei quali successivamente eliminati quali personaggi scomodi dalle purghe staliniani, non certo come ebrei.
Eppure la lotta antisionista legata a ragioni economiche fu portata avanti sin dal 1918 con la creazione di uffici appositi (come la Yevsktsii) che fagocitassero dentro il partito le istituzioni ebraiche e alimentassero popolarmente l’odio contro gli ebrei interni quali detentori di privilegi al pari dei kulaki. Lotte portate avanti in nome di ateismo e collettivizzazione: si pensi che durante la NEP oltre 1 milione di ebrei furono costretti a chiudere le proprie attività, sostenuti da una campagna mediatica che riprendeva i temi classici dell”ebreo ricco e manipolatore”. Motivazioni economiche e diplomatiche, prima che razziali: le stesse che portarono Stalin, nel 1941, a lanciare un’appello “ai nostri fratelli ebrei di tutto il mondo”. Due anni dopo aver pragmaticamente espulso, quale regalo a Hitler (non richiesto) gli ebrei dall’esercito, dall’insegnamento e dalla carriera diplomatica. Non è un caso se proprio nelle zone di occupazione tedesca sorsero le prime brigate partigiane ebraiche, autonome nell’azione, mal tollerate dalla popolazione locale (ricordiamoci che il popolo russo è pur sempre figlio dei pogrom) e slegate rispetto all’Armata Rossa.

Fu allora il regime staliniano un regime antisemita? Mancano ancora troppi dati per dirlo con sicurezza e una certa omertà impedisce di acclarare ulteriori dettagli. Di certo fu un regime double face, capace di servirsi e buttar via, come aveva fatto con tanti altri figli della rivoluzione russa e delle sue idee, essere umani in base a pragmatiche questioni di comodo. Detto questo: sicuramente non ci furono le responsabilità di genocidio simili per numeri e cause a quelle della Germania. Ma sicuramente, come ci racconta Margherete Bauber Neumann (non una revisionista, non una sionista ma una comunista e una testimone) ci furono ebrei tedeschi riconsegnati alla Germania in nome di logiche diplomatiche, nonostante fosse palese la sorte alla quale si affidavano.
Furono mille, migliaia? Furono solo tedeschi o anche polacchi, in seguito alla spartizione del 1939? E gli ebrei deportati da Brest Litovsk insieme alla Bauber Neumann, furono consegnati come regalo in nome di un comune odio antisemita o forse perché, come tanti altri, oltre ad essere giudei erano anche comunisti oramai divenuti scomodi?
Mi piacerebbe che Alberto Angela indicasse fonti più precise, come certo saprebbe fare, per giustizia e per cercare davvero di cambiare questo modo di far storia.
Un modo fatto di revisionismi e falsificazioni cinematografiche e televisive, come quelle che omettono il ruolo decisivo dell’Armata Rossa (ben più impattante rispetto a quello dell’esercito angloamericano) nella liberazione dei campi di sterminio nazisti, peraltro realtà conosciute dagli americani già dal dicembre 1942 senza reagire in alcun modo.
Ma un mondo fatto anche di negazioni dell’evidenza, come quello di Rizzo e dall’attuale Partito Comunista che invece di affrontare la realtà e anzi voler essi stessa scoprirla, ancora si trincerano verso logiche astoriche e difensive prive di senso e altamente autolesioniste.

Mi scuso per la lungaggine, ma la storia e il suo studio purtroppo non si possono esaurire a un programma del sabato sera.

LG

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