Leonardo Tonveronachi e la storia della piantina scampata alla bomba di Hiroshima

«Io sono nato curioso e perseverante, quando vado al lavoro mi sento felice perché ho voglia e bisogno di scoprire che cosa succede intorno a me e il bosco di curiosità me ne suscita davvero tanta.»


Ortignano Raggiolo (AR) – Una storia che è anche un intreccio di meravigliosi fili conduttori, di quei fili che sembrano un groviglio infernale, ma che se proviamo a “sfrenare”, ritornano al loro posto, come fossero una matassa di lana liscia e senza alcun nodo.

Intanto per ottenere questo voglio parlarvi di un personaggio casentinese, un personaggio che io personalmente adoro da sempre, di quei personaggi che sembrano un poco “torvi”, ma che in realtà non lo sono affatto. Il suo nome è Leonardo Tonveronachi, soprannominato “Cardecio”, e proviene direttamente da San Piero in Frassino. Leonardo è un uomo essenziale, di quelli che vivono di ricordi e che con questi ha costruito il suo futuro. Lui è un pozzo infinito di circostanze passate, fatte da persone di altri tempi e da cui ha estratto qualcosa, sì perché lui ha come “attinto” a quelle fonti che allora rappresentavano la saggezza dei nostri paesi. Sto parlando di quel nettare infinito ed inesauribile di cui erano colmi i personaggi dei tempi passati. Leonardo possiede una memoria storica, una memoria lontana e i suoi occhi si emozionano nel raccontare di quella o di quell’altra persona facente parte del passato, infatti è arrivato da me con una foto degli anni cinquanta da cui spiccava anche il volto meraviglioso del mio babbo, e lui si è emozionato raccontandomene un aneddoto.

È nato e cresciuto a San Piero in Frassino Leonardo, ed ha ben cinquantasei anni, è sposato ed è padre di una bellissima figlia, che dice un po’ le assomigli. È anche molto orgoglioso del lavoro che svolge perché sente di dare e ricavare molto dalla natura che “frequenta” quotidianamente, dove il suo ufficio è la foresta stessa, quell’ambiente a cui lui tiene moltissimo e da cui apprende ogni giorno qualcosa di più. Ed è proprio da qui che parte l’intreccio ed è da qui che la matassa di fili aggrovigliati, comincia a dipanarsi, o almeno lo spero! Leonardo Tonveronachi ha capito l’amore che provava per la foresta quando ancora era piccino e il prete che allora era al paese, ovvero il caro Don Angelo amato e stimato da tutti, lo accompagnò con altri bambini a fare campeggio presso l’Alpe di Catenaia, luogo in cui s’innamorò totalmente di tutto ciò che lo circondava, compresi quegli odori di cui il bosco è intriso. Lavora presso il CREA di Arezzo, ovvero il “Centro di Ricerca Foreste e Legno”, una scuola per la specializzazione e la conoscenza del bosco, e più precisamente, un centro di ricerca che ricopre tutto il territorio Nazionale, e quello che abbiamo ad Arezzo oltretutto, è anche il più antico d’Italia. Ora capite che se un amante del bosco lavora da trentadue anni presso e per un centro di tale importanza, dove i progetti si rapportano al territorio, non può che essere assolutamente legato ai boschi e alla foresta ed amarli inesorabilmente!?

«Io sono nato curioso e perseverante – ci racconta Leonardo – quando vado al lavoro mi sento felice perché ho voglia e bisogno di scoprire che cosa succede intorno a me e il bosco di curiosità me ne suscita davvero tanta. Questo habitat mi risveglia ogni volta una miriade di sensazioni, ecco perché quando svolgo il mio lavoro sono estremamente tranquillo e felice. È capitato più di una volta, raccontando del mio paese natio che mi chiedessero se vivessi in un villaggio, ed io ho sempre risposto di sì, perché San Piero in Frassino quando ero ragazzo era un proprio villaggio inteso come comunità, di quelle dove gli “usci” delle case erano sempre aperti per tutti, dove i vecchi ambivano a tralasciarti ciò di cui la vita li aveva arricchiti, quegli anziani che  mi hanno insegnato ad ascoltare, ed io li osservavo e ascoltavo molto davvero, e quando c’era qualcosa da vedere, correvo a guardarla e ad arricchirmene, e se qualcuno compiva qualche faccenda tipo rimettere la legna per l’inverno o chissà cos’altro, mi trovava sempre in prima fila a godere di quelle scene laboriose e semplici al contempo. Mi sento di dire che la mia crescita personale e lavorativa è da attribuire agli incontri, e già dalla mia scuola in agraria che ho svolto a Pieve Santo Stefano, ho ricavato tanta vita, tanto di quel sapere che poi ho riversato e riverso tutt’ora alle mie foreste, quando mi addentro nei loro grembi accoglienti.»

«È proprio l’amore incondizionato per la natura – continua Leonardo – che mi fa tenere accesa la fiamma, quella stessa fiamma che ricorda la tragedia di Hiroshima, quando settantotto anni fa appunto, vi scoppiò la bomba atomica, quel maledetto ordigno che procurò un disastro a dir poco epocale. Si tratta di quella fiamma che viene costantemente tenuta accesa in Giappone, e che si spegnerà solamente quando l’ultimo ordigno atomico verrà debellato mettendo così al sicuro l’intero pianeta.»

Comunque la natura ha già dato la sua risposta, e a tale proposito un arbusto nato dai semi di un albero sopravvissuto in Giappone, continua a sprigionare vita nonostante tutto. Questi vengono chiamati alberi della pace e sono in grado di sopravvivere all’atomica, diventando per questo il simbolo della pace stessa, e davanti ai quali si possa ricordare i bombardamenti atroci di Hiroshima. Si tratta precisamente di una “Aphananthe Aspera” e gli stessi scienziati che quella pianta l’hanno fatta crescere disseminandone i semi nel mondo, e che lo hanno fatto proprio per dare un messaggio di pace e di vita, possano prendersene cura, peraltro solo i centri specializzati la possono accogliere, per poterle riferire il rispetto che merita. È stato così che questa tenacissima pianta è arrivata anche ad Arezzo, e più precisamente al Centro di Ricerca Foreste e Legno, oltretutto questo verde essere vivente è sopravvissuto ad un calore che si avvertiva a 2 Km dall’epicentro, ed è pari a 40 volte quello del sole. Molti di questi alberi germogliano anche da noi, vedi ad esempio l’orto botanico dell’università di Perugia. Si tratta di veri e propri semi vitali a dimostrare la forza della vita contro la capacità distruttiva dell’uomo, e a salvarsi nel lontano 1945, furono le radici, che lavorando sotto terra, si sono protette dalla loro stessa corteccia.

“Aphananthe Aspera” è la pianta simbolo di vita che viene conservata al CREA di Arezzo, una pianta che vegeta ancora oggi a 1.360 metri dall’epicentro dell’esplosione di Hiroshima, e che ad Arezzo è conservata dalle mani sapienti dei ricercatori del CREA appunto, che sono un importante punto di riferimento per tutte le foreste italiane e per la ricerca, e da oltre cento anni sono impegnati nella salvaguardia dei boschi. Questi scienziati e tecnici sono l’unico strumento in grado di difenderci dal rischio idrogeologico e dai cambiamenti climatici, ma anche di salvaguardarne la Bio- diverstità. Ecco questo è l’intreccio che hanno procurato un uomo e la storia, un intreccio che spero di aver “dipanato” abbastanza. Si tratta di un uomo che ama il suo lavoro, e che ne ha fatto la sua vita, che lavora per un centro importante da tanti anni e che si prende cura del nostro territorio boschivo amandolo come la sua stessa casa.

Ebbene, questo signore è Leonardo Tonveronachi detto “Cardecio”, un uomo, un vecchio amico che ho sempre ammirato anche se un poco “torvo”, e che ad oggi stimo ancora di più per quello che svolge e per come lo svolge, senza perdere di vista che lo fa anche un pochino per me… per noi!

Grazie Leonardo per averci fatto conoscere questa storia.


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Marina Martinelli
Marina Martinelli
Marina Martinelli nasce nel 1964 e “arranca” tutta la vita alla ricerca della serenità, quel qualcosa che le è stata preclusa molto spesso. La scrittura è per lei una sorta di “stanza” dove si rinchiude volentieri immergendosi in mondi sconosciuti e talvolta leggiadri. Lavora come parrucchiera a Poppi e gestisce il suo salone con una socia. E' madre di due figli che sono per lei il nettare della vita e scrive, scrive ormai da molti anni anche per un Magazine tutto casentinese che si chiama “Casentino Più”. È riuscita a diventare giornalista pubblicista grazie proprio al giornale per cui scrive e questo ha rappresentato per lei un grande traguardo. Al suo attivo ha ben sette libri che sono: “Le brevi novelle della Marina", “L’uomo alla finestra”, “Occhi cattivi”, “Respira la felicità”, “Un filo di perle”, “La sacralità del velo”, “Le mie guerriere, quel bastardo di tumore al seno”. Attualmente sta portando avanti ben due romanzi ed è felice! È sposata con Claudio, uomo dall’eterna pazienza.

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